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Nero bifamiliare

28/05/2010 11:00

Valerio Ferri

Recensione Film,

Nero bifamiliare

Dopo quindici anni dedicati interamente alla musica, Federico Zampaglione fa il suo esordio ufficiale anche sul grande schermo, con una pellicola di cui è regis

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Dopo quindici anni dedicati interamente alla musica, Federico Zampaglione fa il suo esordio ufficiale anche sul grande schermo, con una pellicola di cui è regista e sceneggiatore. Il leader dei Tiromancino non poteva che scegliere Claudia Gerini, sua musa e compagna, per il ruolo della protagonista, affiancata da un sorprendente Luca Lionello (secondogenito dell’indimenticato Oreste). Per Zampaglione non è comunque la prima volta dietro una macchina da presa, avendo già diretto buona parte dei videoclip che accompagnano i brani della sua band. Per la sua opera prima non ha voluto strafare, scegliendo un soggetto intelligente, che non richiedesse grossi investimenti o particolari capacità tecniche, ma dandogli allo stesso tempo la possibilità di far passare dei messaggi ben precisi su croniche tematiche umane come i pregiudizi, le debolezze e i vizi, dall’invidia alla lussuria. Al centro di tutto c’è innanzitutto la famiglia, in particolare la vita di coppia, con le sue ansie e le sue fragilità; oltre naturalmente ai fisiologici imprevisti che possono far gradualmente crollare tutto, o risollevare delle situazioni ormai irrecuperabili.


Vittorio e Marina sono una giovane coppia da poco convolata a nozze: il primo con un forte desiderio di rivalsa sociale, nel tentativo di lanciare le sue idee innovative sul mercato; l’altra con il sogno di metter su famiglia, alla ricerca di un po’ di serenità nella vita matrimoniale. I due decidono dunque di acquistare una piccola villetta in un comprensorio della città, con un piccolo sforzo economico. L’iniziale eccitazione per la nuova sistemazione si traduce però ben presto in un paranoico e graduale logoramento del loro rapporto sentimentale a causa di una coppia di vicini stranieri piuttosto insolita e del crescente scetticismo da parte dell’intero comprensorio. A rendere il tutto maggiormente perverso c’è anche una buona dose di casualità, capace di portare ad effetti sempre più deleteri se non si è disposti a farci i conti.


I temi illustrati dal regista romano sono senz’altro meritevoli e sempre attuali, in special modo coadiuvati dalla pregevolezza qualitativa degli interpreti e dai ritmi equilibrati. A ciò va aggiunta una sapiente regia, in grado di amalgamare alla perfezione gli stilemi della commedia graffiante con continue spruzzate di noir mai fuori luogo. L’impianto narrativo che dovrebbe sorreggere la struttura risulta essere però eccessivamente scarno, specie nel finale, dando vita ad una trama che non riesce mai a decollare. Le situazioni che si vengono a creare non convincono abbastanza e la tessitura della tela narrativa appare troppo forzata, nel tentativo di far emergere delle realtà che non possono fare a meno di snodi e personaggi eccessivamente caricaturali. Il messaggio arriva comunque forte e chiaro allo spettatore, rispettando quelli che erano i propositi principali. Zampaglione può dirsi senza dubbio soddisfatto: Ligabue ai tempi del suo Radiofreccia godeva di una fama decisamente maggiore.


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