"Questo è uno step show o un video rap?" Si potrebbe ridurre Stepping – Dalla strada al palcoscenico a questa unica citazione del film, senza ricorrere a inutili orpelli didascalici per descrivere al meglio il senso estetico e cinematografico dell’opera di Sylvain White. Conosciuto per i suoi lavori registici nel mondo del videoclip, White cerca di dare la sua particolare interpretazione visiva al competitivo mondo del ghetto, dove l’hip hop, almeno secondo quello che le pellicole musicali del periodo sembravano insegnare, regna sovrano e scandisce le giornate di giovani disagiati alla ricerca di riscatto. In seguito alla morte in una rissa di suo fratello, DJ si trasferisce da Los Angeles ad Atalnta, dove frequenterà la Truth University. Qui scopre un mondo completamente diverso dal suo, fatto di confraternite ed eventi sociali, di belle ragazze e di gare di step. E così il ragazzo del ghetto viene assorbito con il vigore di un battito di piedi sul cortile (letteralmente “Stomp the Yard”, titolo originale del film) dalle dinamiche del college, determinato a migliorarsi e cancellare gli incubi del proprio passato. Ma per dare un contributo importante alla propria squadra e, magari, vincere il campionato annuale di Stepping e il cuore della bella April, dovrà prima fare i conti con ciò che ha lasciato a LA. Una sceneggiatura piuttosto scontata e per nulla originale che si avvale di temi già più volte sciorinati dalla moderna cinematografia: la violenza nel ghetto, l’importanza della famiglia, il riscatto personale grazie agli amici, all’amore e alla cultura la religione. I personaggi non riescono a esplodere dalla gabbia rigida e forzata dello script, rimanendo piuttosto piatti e indifferenti… fino a quando le luci del palcoscenico non si accendono e il loro essere passa a esprimersi attraverso la danza. Lo stepping non ha bisogno di musica e per la maggior parte del tempo non si avvale neanche di giochi di luce e ambientazione: si tratta di pura energia esprimibile solo attraverso il movimento deciso e frenetico, perfettamente ritmato e organizzato, di mani e piedi che da soli compongono una tribale melodia. Impossibile non lasciarsi coinvolgere da questa particolare tipologia di movimenti, soprattutto quando a dirigerla è un regista che da sempre ha a che fare con stacchi decisi e movimenti bloccati. Le coreografie sono acrobatiche e complesse, inquadrate con sapienza tecnica e audacia visiva e sottolineate da un montaggio che manipola il concetto di tempo, dilazionandolo e flettendolo per le proprie esigenze ritmiche. “Sapete tutti di cosa si tratta: è la battaglia della vecchia scuola contro la nuova” e se avete ancora voglia di assistere allo scontro, senza grandi pretese e curiosi di scoprire una disciplina per noi relegata solo alle mura di una palestra, Stepping può diventare un piacevole punto di partenza.