Heath Ledger, Jack Nicholson, Jared Leto: i tanti volti di un personaggio iconico
Lo sguardo nascosto dall'obiettivo di una macchina fotografica, il volto distorto nel ghigno più famoso della storia del fumetto. É così che la figura iconica del Joker si imponeva definitivamente nell'immaginario collettivo attraverso una delle storie più importanti della sua lunga vita editoriale. Trent'anni sono passati da quando il genio di Alan Moore (ri)scriveva le origini del più celebre villain dell'universo supereroistico gettando le basi di un mito destinato ad andare ben al di là della carta stampata. The Killing Joke era il principio di uno scherzo omicida lungo decenni, una risata la cui eco sanguinaria si sarebbe propagata fino a noi, intatta in tutta la sua carica folle e distruttiva.
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E pensare che come comico, il Joker, non valeva nemmeno granché, proprio lui che avrebbe fatto – con l'aggiunta, qua e là , di qualche omicidio al suo repertorio – del sensazionalismo e del senso dello spettacolo una delle sue armi più tremende, fino ad aprirsi la strada per il piccolo e grande schermo. Difficilmente un altro personaggio dei comics, d'altronde, sarebbe stato più cinematografico di lui, vuoi perché Bob Kane e soci nel lontano 1940 si ispirarono al Conrad Veidt de L'uomo che ride (1928) per crearne l'innaturale sorriso e il fascino disturbante, vuoi perché il successo era già tutto in quella caratterizzazione, in quell'energia folle, anarchica e camaleontica destinata a ritagliarsi uno spazio consistente nella cultura popolare.
Danzi mai col Diavolo nel pallido plenilunio?
In principio furono la discutibile serie televisiva degli anni Sessanta e l'interpretazione clownesca di Cesar Romero a gettare le basi per un Joker in carne e ossa, ma bisognerà attendere un ventennio (e la lezione di Alan Moore) perché il buffone omicida acquisisca tragicità e spessore, quell'iconicità che aveva già ottenuto nel mondo del fumetto e che ora, smaniante, cercava di conquistarsi anche al cinema. Il Batman di Tim Burton dava così vita a un personaggio – quello dietro all'interpretazione fumettistica e magistralmente istrionica di Jack Nicholson – che non tradiva la sua origine letteraria e, insieme, reinventava la figura stessa del villain al cinema, diventandone archetipo. La follia del Joker, in tutta la sua drammatica imprevedibilità , irrompeva così per la prima volta in sala conquistando il pubblico di mezzo mondo. Mai l'antagonista di storie tanto popolari era stato così grottesco e fascinoso, tremendo eppure irresistibile nel suo irreale e straniante sadismo, nei suoi omicidi clowneschi, nel suo terrorismo esilarante e paradossale. Burton e Nicholson consegnavano alla storia del cinema una nuova idea di Male, strettamente legata al proprio tempo e destinata a germogliare nella forma di decine di epigoni.
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Perché sei così serio?
É proprio la versatilità di una follia mai uguale a se stessa, mai ingabbiabile (anche letteralmente) o conciliante ad aver fatto la fortuna e ad aver garantito lunga vita a una figura come quella del Joker, facendogli passare, indenne, decenni di storia. E mentre gli anni passavano, mentre il personaggio dei fumetti stava al passo con la nuova icona cinematografica (dello stesso periodo la memorabile graphic novel di Grant Morrison, Arkham Asylum) e in tv la serie animata di Batman riscuoteva consensi anche grazie al suo coloratissimo antagonista, il cinema stava a guardare, ripensando a un rilancio, a una nuova metamorfosi, a un'altra, sorprendente follia. Altri vent'anni ed ecco salire alla ribalta la nuova, scompigliata, cupissima e anarcoide degenerazione del clown psicotico. Nel nuovo corso oscuro e realistico dettato da Christopher Nolan alla saga di Batman il Joker acquista così le sembianze stravolte e inquietanti di Heath Ledger, assieme a una maturità mai vista prima di allora sul grande schermo, in una interpretazione che vale una carriera. É proprio una nuova maturità quella che ne Il cavaliere oscuro investe il personaggio, un restyling tanto fisico quanto emotivo che lo riallaccia alla caotica realtà del nuovo millennio, al realismo spiccio dello scontro fisico, alle dinamiche di quel potere nei cui anfratti la follia è più distruttiva.
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Voglio solo farti male. Molto, molto male.
Una nuova, ulteriore trasformazione per il paziente zero dell'Arkham Asylum (riscontrabile anche nella sua vita parallela a fumetti, basti pensare a Joker di Brian Azzarello), che scopre la propria fisicità e abbandona gradualmente vizi e vezzi da avanspettacolo. Fino ad arrivare alle incursioni sadiche e inquietanti di Suicide Squad, dove un Jared Leto tatuato e dai denti placcati getta il personaggio – quasi una sorta di folle gangster metropolitano – nel nuovo, autoreferenziale universo dei cinecomics e in un rinato, adolescenziale culto per i villain. Inevitabilmente, il Joker è diventato, a questo punto, un simbolo, un marchio, un franchise notevole e dal forte appiglio, forse oramai del tutto innocuo in termini di immaginario, eppure ancora in grado di conservare in sé quel suo fascino perverso, quella forza irrazionale che ne ha fatto il lato oscuro tanto del suo avversario per eccellenza quanto del suo pubblico. La guest star cinica e sghignazzante di un mondo e di un tempo che, forse, non sanno più che farsene degli eroi.