Pieces of a woman (2020): la recensione del film con Vanessa Kirby e Shia LaBeouf

Pieces of a woman si apre in una lunga scena con la protagonista Martha che sta partorendo a casa, assistita da una levatrice e dal marito Sean; sono immagini forti, con la camera che stringe sui volti e sta addosso ai tre fino al drammatico esito: il bambino nasce, ma muore pochi istanti dopo. Un prologo concitato che sembra quasi un film del Dogma per questo “Pezzi di una donna”, bellissimo titolo dalle molteplici interpretazioni. 

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Uno svoglimento che trova proprio nella sua prevedibilità forza ed empatia con lo spettatore; fino alla scena finale che, chiudendo la metafora della mela che percorre il film, svelerà che ne sarà dei protagonisti dopo l'ultima pagina. Diario personale e doloroso che appartiene proprio a Kornél Mundruczó e alla sua compagna, che hanno vissuto di persona un'esperienza analoga. Cinema anche come autoterapia, Pieces of a woman è un film di scrittura e interpretazione: merito della splendida Vanessa Kirby e di Shia LaBeouf, ancora una volta dentro una parte totalmente sua, ma ogni interprete da un contributo prezioso e decisivo per un film tutto di caratteri.

E c'è inevitabilmente la sceneggiatura di una donna (Kata Weber) ad animare una figura femminile così esatta.  

Sincero, scoperto, toccante. E pieno di piccoli difetti: l'ultima parte, con Martha che rende giustizia al processo; qualche stereotipo di ruolo (la madre crudele e l'avvocatessa cinica che si riveleranno l'opposto). E anche quel prologo sproporzionato, sorta di film nel film, che testimonia però proprio il senso più profondo della storia: quella Martha e quello Sean non esistono più. E la “botta” arriva tutta anche in sala.

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