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The 12th Suspect (2019), la recensione del noir di Ko Myoung-sung presentato al Florence Korea Film Fest

26/09/2020 14:44

Alfredo De Vincenzo

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The 12th Suspect (2019), la recensione del noir di Ko Myoung-sung presentato al Florence Korea Film Fest

Nella sezione K-Independent del Florence Korea Film Fest 2020 arriva The 12th Suspect del giovane ed esordiente Ko Myoung-sung

Nella sezione K-Independent del Florence Korea Film Fest 2020 arriva The 12th Suspect del giovane ed esordiente Ko Myoung-sung. Il film si svolge quasi interamente all’interno di una locanda, la “Casa Orientale del Té”, subito dopo la fine della guerra delle Coree nel ’53 e vede diversi protagonisti interrogarsi sulla misteriosa morte di un poeta locale, in un’atmosfera bohémien.

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Con un piano sequenza mesmerico vengono introdotti i vari personaggi, quasi tutti appartenenti al mondo artistico. Oltre i due proprietari della locanda, ci sono infatti pittori, romanzieri, poeti e un professore. Mentre questi discutono della morte del loro collega, con le più classiche “chiacchiere da bar”, entra nella locanda un uomo che poco dopo svelerà di essere l’investigatore Kim, incaricato di scoprire le ragioni della morte del poeta.

A questo punto il film si divide in due parti. Nella prima sembra quasi di essere sull’Orient Express di Agatha Christie dove tutti i personaggi, che assomigliano ai poeti maledetti della tradizione francese - non a caso viene citato più volte Baudelaire ed il suo I fiori del male - diventano sospetti e sospettosi, pronti a scaricarsi la colpa a vicenda attraverso dei flashback in pieno stile Rashomon di Kurosawa. Qui, con un rigore rigido e freddo, accentuato dai colori grigi e cupi dell’ambientazione, eccezion fatta per l’abito rosso della proprietaria, e con lievi tonalità color seppia, Ko Myoung-sung rivela passo dopo passo gli avvenimenti che hanno portato alla morte del poeta.

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Usando il linguaggio del corpo, gli sguardi di traverso e il contatto visivo nervoso tra tutti gli avventori, il regista gioca sullo stato di tensione, come avveniva in The Hateful Eight di Quentin Tarantino. L’investigatore, come un Hercule Poirot coreano, stuzzica e gioca in maniera fine con i personaggi alla ricerca della verità. Sempre educato e composto. Poi accende la luce, i colori del film si fanno più vivi e nitidi ed inizia la seconda parte del film in cui viene svelato il reale intento del regista. 

 

L’investigatore si trasforma quasi nell’Hans Landa di Tarantino e il film diventa più duro, più pragmaticamente violento, mettendo a nudo le cicatrici della guerra delle Coree.

 

Attraverso i vari personaggi vengon fuori le diverse forze oscure in gioco durante la formazione della moderna Corea del Sud, e l'odio di Kim per artisti e intellettuali, che definisce”degenerati” e associa senza dubbio al comunismo. Rivela una critica feroce dei numerosi sconvolgimenti politici e sociali nella nazione dal 1953. Il nazionalismo esasperato di Kim segue le derive mondiali degli ultimi tempi, ma scopre le carte del grosso bluff intellettuale che c’è dietro tutto questo. La lotta al diverso, in questo caso i famigerati comunisti, non fa altro che alimentare una forma di patriottismo becero e violento usato come giustificazione per estirpare il nemico ed il diverso. Il punto di vista del film è abbastanza in linea con le teorie moderniste, e quindi si contestualizzano maggiormente i riferimenti agli anni Sessanta della cultura francese (ad esempio, le porte chiuse ricordano Huis Clos di Jean-Paul Sartre) e al teatro di Friedrich Dürrenmatt. Non c’è redenzione per i crimini di guerra e non c’è spazio per un nazionalismo arrogante e ignorante nel contesto globale. Con questo film Ko Myoung-sung ci regala un piccolo capolavoro, sia nello stile che nelle tematiche.


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Genere: noir, drammatico

Paese/Anno: Corea del Sud, 2019

Regia: Myoung-Sung Ko

Interpreti: Seon-yeong Park

Colonna sonora: Ja wan Koo

Durata: 106'

 

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