Esther Mandelman (Renana Raz) è incinta di quasi nove mesi quando, all’improvviso, muore. Miracolosamente, tuttavia, il figlio riesce a sopravvivere. Il marito Yohai (Yiftach Klein), incapace di prendersi cura da solo dell’erede, pensa di risposarsi e andare in Belgio, dove magari avrà più opportunità . Spaventata dall’idea di perdere il nipote dopo aver dovuto seppellire la figlia, la madre di Esther spinge affinchè sia l'altra figlia, Shira (Hadas Yaron), a sposare il genero. La ragazza, già promessa ad un coetaneo da cui è molto attratta, è divisa tra il senso del dovere verso la famiglia e le proprie ambizioni sentimentali, rese difficoltose anche dall’intromissione di una cugina spaventata all’idea di rimanere zitella e infatuata dello stesso Yohai. «Per i matrimoni l’ebraismo non prevede costrizioni» ha dichiarato la regista Rama Burshtein al Lido, in occasione del 69° Festival del cinema di Venezia, dove Fill The Void è stato presentato. «Nel mondo chassidico, in cui questo film è ambientato, i genitori qualche volta propongono delle unioni per i loro figli, ma anche in quel caso la giovane coppia deve essere d’accordo». Con una trama che sembra strizzare l’occhio a Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, dove il matrimonio viene inizialmente presentato come un accordo finanziario e un vicendevole scambio di servizi, La sposa promessa sorprende per la capacità della regista classe 1967 di non schierarsi né di salire in cattedra ad elargire facili moralismi. Il suo manifesto dell’ortodossia è personale e sentito, scevro di qualsiasi militanza politica riuscendo ad entrare nel cuore dello spettatore proprio per il suo carattere privato e, insieme, umano. La vicenda di Shira, vera e indiscussa protagonista della pellicola, è un percorso antropico all’interno di un’individualità strappata alla propria libertà di scelta, costretta a scegliere tra il rispetto per la famiglia e quelli che sono i propri sentimenti personali. Lo spaccato emotivo in cui Shira si trova ad annegare, è reso dalla regista attraverso la rinuncia a qualsiasi inquadratura ampia, quasi abolendo i campi lunghi a favore di riprese strette, di primi piani che indagano tra i solchi della pelle. Un espediente che da una parte riesce a restituire l’immagine di una comunità stretta alle proprie tradizioni, mentre dall’altra trae Shira da questo quadro, relegandola in un angolo a fare i conti con la propria solitudine e i propri dubbi. Senza dubbio è nel duetto umano e amoroso tra Shira e Yohai che si deve ricercare il vero punto forte della narrazione, che descrive una storia d’amore fuori dall’ordinario. Uniti dal bisogno e dal senso di famiglia, Shira e Yohai sono distanti per ambizioni e desideri: lui, ancora distrutto dalla perdita della moglie, deve pensare al figlio prima che a se stesso; lei, promessa ad un altro e legata semplicemente dall’affetto a Yohai, si riscoprirà a provare sentimenti che non avrebbe mai creduto. Riconosciuti i meriti artistici di Rama Burshtein, e il suo coraggio nel trattare un tema spinoso senza facili proselitismi o attacchi politici, va detto che Fill The Void manca di un ritmo che tenga lo spettatore ancorato alla sua posizione privilegiata. Nella rappresentazione quasi fin troppo poetica di un mondo che l’Occidente il più delle volte ignora, sembra che Burshtein abbia dimenticato il cosiddetto lettore ideale della sua opera. Il minutaggio della pellicola – tutt’altro che eccessivo – finisce allora con l’apparire piuttosto pesante, con qualche pedanteria di troppo che rallenta la ricezione e indispettisce laddove avrebbe potuto colpire maggiormente con qualche tempo morto in meno. Ciò nonostante, La sposa promessa resta capace di far riflettere senza esserne obbligati e, soprattutto, regala una protagonista adorabile, insignita al Festival di Venezia del premio come miglior interprete femminile.