«Italia, Italia, di terra bella uguale non ce n’è» cantava Mino Reitano, nella canzone che omaggiava una terra di bellezza, canto e cultura. Un paese che, al giorno d’oggi, non si riconosce più nei titoli dei telegiornali, negli occhielli dei quotidiani che parlano di crisi, di corruzione, di una politica egoista e impreparata, che cura i propri interessi piuttosto che quelli del popolo. Massimiliano Bruno dimostra il proprio dissenso con il suo secondo lungometraggio, dove ritrova Raoul Bova e Rocco Papaleo con i quali aveva già collaborato in Nessuno mi può giudicare. La fotografia di un paese ridotto in ginocchio, sporco e malato – che si è classificato 69° a pari merito con il Ghana per la lotta alla corruzione – diventa per il regista un artifizio per raccontare una favola amara, dove la commedia si trascina fino alla più rassegnata disperazione. L’assunto di partenza è: cosa succederebbe se un politico di questa Italia si trovasse, suo malgrado, a dover dire la verità ? È quello che accade a Michele Spagnolo (Michele Placido) quando, a seguito di un colpo apoplettico, resta vittima di un trauma neurologico che lo porta a dire tutto quello che pensa nel momento stesso in cui il pensiero si forma. Il deficit lo conduce non solo fuori dalla setta politica italiana, ma anche dal suo stesso matrimonio, mettendo in difficoltà gli stessi figli: Susanna (Ambra Angiolini) è un’aspirante attrice affetta da sigmatismo; Valerio (Alessandro Gassman) è un uomo pigro e perdigiorno che deve la sua buona carriera alle interferenze del padre; infine Riccardo (Raoul Bova), un medico integerrimo che rifiuta i favori e la figura stessa di un padre assente e bugiardo. Attraverso la malattia del padre, i tre cominceranno un percorso individuale che li porterà a fare i conti con se stessi: Susanna, grazie all’aiuto di un ex attore (Edoardo Leo), Valerio grazie all’incontro con una bella addetta alla mensa (Sarah Felberbaum) e Riccardo grazie a quel padre che tanto rinnega. La pellicola si apre con lo stesso Massimiliano Bruno (che aveva già recitato nella serie televisiva Boris) nei panni di uno showman politicamente impegnato mentre, davanti ad un uditorio, parla della Costituzione Italiana come di un libro di fantascienza. Intelligente nella struttura e divertente nelle interazioni tra gli attori, Viva l’Italia (che richiama titoli illustri, dall'album di De Gregori al film di Rossellini) è una pellicola che più che alle ultime commedie nostrane, strizza l’occhio alla vecchia tradizione monicelliana. A differenza dei molti film che si limitano a fotografare la situazione dell’Italia con uno sguardo pieno di rimprovero e sdegno, Bruno predilige gag di stampo populista che non abbandonano mai l’intento di parlare di attualità : la crisi del matrimonio, le beghe burocratiche della sanità , la corruzione non solo economica, ma anche morale. E se è chiaro la speranza del regista di poter riuscire – in minima parte – a cambiare il paese partendo da un cambiamento della coscienza collettiva, dall’altra appare evidente anche la sua disillusione. Susanna deve arrendersi al fatto che verrà sempre percepita come una raccomandata senza talento così come Valerio deve servirsi dei metodi erronei del padre per riportare un po’ di giustizia all’interno della sua azienda. Come dirà il personaggio di Riccardo al suo capo corrotto e avido: «Abbiamo perso tutti e due». Se vincere non è possibile, sembra suggerire il regista, deve bastare il fatto di riuscire a svelare il marcio di un sistema istituzionale dove la meritocrazia non esiste, dove non si può andare avanti se non si fa parte di una lobby privilegiata e chiusa in se stessa.