Paul Dedalus (Mathieu Almaric) è un antropologo che, dopo un soggiorno in Russia, torna in Francia per lavorare presso il ministero degli interni francese. All'aeroporto viene, però, fermato con l'accusa di scambio d'identità: in Ucraina è stato trovato morto un suo omonimo. Così Paul è costretto a riportare alla memoria la sua infanzia e i suoi anni giovanili per spiegare l'accaduto. A due anni di distanza da Jimmy P., presentato in concorso a Cannes nel 2013, il regista francese Arnaud Desplechin torna al festival francese con Trois Souvenirs de ma Jeunesse, vincitore della sezione Quinzaine des Réalisteurs. Desplechin riprende il personaggio di Paul Dedalus, già visto nel film del 1998 Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle) dello stesso regista: Trois Souvenirs de ma Jeunesse è una sorta di prequel delle avventure del protagonista, ancora interpretato dall'attore Mathieu Almaric. Come già nella sua filmografia precedente e nei suoi titoli più celebrati come I re e la regina e Racconto di Natale, Desplechin guarda al nume tutelare di François Truffaut e alla Nouvelle Vague. Quest'ultima opera ne riprende la pacatezza nella rappresentazione cinematografica dei sentimenti e degli attimi della vita. Trois Souvenirs de ma Jeunesse è un racconto generazionale e di formazione, che narra in tre parti l'adolescenza di Paul: dall'infanzia non troppo serena alla sua “missione” in Bielorussia, fino alla spensieratezza e alle difficoltà della gioventù nell'affrontare l'amore. Desplechin, attraverso Paul, mette in scena le passioni universali e prova a indagare quelle esperienze dell'esistenza che non si vivranno più, in una modalità da ricordo nostalgico che evita il vintage. La sceneggiatura procede per grandi momenti, come è d'obbligo nel coming of age, flirtando con il melodramma e dedicando la sua anima più sentita al rapporto d'amore tra Paul e la giovane Esther (Lou Roy-Lecollinet). Qui Trois Souvenirs de ma Jeunesse trova - con una certa prevedibilità di sguardo - la passione e l'anarchia dell'innamoramento giovanile, dal colpo di fulmine fino alle crisi di coppia, alla felicità e ai rimpianti che contraddistinguono l'adolescenza. Un romanzo di crescita che passa attraverso i grandi passi della vita. Dai dettagli Desplechin riesce a mantenere un tono placido e leggero che, se anche fin troppo distaccato nel rapporto con lo spettatore, controlla con dovizia la materia narrativa e alterna delicatezza e momenti di furore. Una riflessione sul Tempo personale e oggettivo che scorre e sui momenti che non torneranno. Ed è un peccato allora che proprio nell'ultima parte - intitolata “Epilogo” - Desplechin appaia in difficoltà su come chiudere, abbandonandosi a una freddezza emotiva e a un tono che si fa eccessivamente retorico nelle battute finali, che soffre di un didascalismo poco sincero per come rappresenta e spinge sul dolore dell'età adulta per le occasioni mancate nel passato.