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It Follows

27/11/2015 12:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

It Follows

L'horror che reinterpreta la morte

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Autunno. La diciannovenne Jay (Maika Monroe) fa tutto quel che ci si aspetterebbe da una ragazza della sua età: va a scuola, passa le giornate con i suoi amici e scopre il sesso. Ed è proprio dopo un rapporto con un suo coetaneo che Jay comincia a sentirsi pedinata da strane presenze.


L’incipit di It Follows è folgorante e comprime in meno di cinque minuti una varietà stilistica e una direzione così accurata che capiamo immediatamente di avere a che fare con un regista dotato di un talento fuori dal comune. Eppure gli ingredienti che David Robert Mitchell, già autore di The Myth of The American Sleepover, getta nel calderone sono - apparentemente - solo un gruppo di amici, un incubo persecutore e l’alleanza contro un nemico comune: gli appassionati riconosceranno immediatamente l’influenza visiva e sonora degli slasher anni ’70 firmati Hooper e Craven, così come potranno individuare nitide tracce dell’incredibile Fantasmi, soprattutto nella riproduzione di paesaggi urbani deserti che contraddistingue il cult di Don Coscarelli e quel malessere carpenteriano fulcro di film come Halloween e Il seme della follia.


Ma stavolta l’uomo nero non sopraggiunge brandendo coltellacci o indossando maschere sudice, tantomeno intimidisce la sua vittima con parole minacciose: qui il pericolo è uno “zombie” abulico, silente, eppure incombente. In It Follows il villain è un male atavico di cui non ci è consentito comprendere la natura; quasi astratto ma onnipresente, tanto vivo quanto ambiguo e strisciante sotto forme che mutano continuamente. Jay è la scream queen bionda (portata sullo schermo dalla bravissima Maika Monroe, rivelazione già convincente nel thriller The Guest) che non riesce a togliersi dalla testa l’idea, germogliata con quel suo rapporto sessuale avuto sul sedile posteriore di un’automobile, che qualcosa o qualcuno la stia seguendo per massacrarla. E non riesce e né vuole scoprirne le ragioni: il suo unico desiderio è liberarsene. La morte si propaga come un virus e assume nuovi connotati, quelli di una “malattia” che può essere contratta solo tramite un mezzo: il sesso. Ma Mitchell, più che voler rendere omaggio ai cult che amava da bambino, sembra inerte nel lasciarsi avvolgere dalla suggestione che i film d’infanzia esercitano su di lui: l’effettivo valore del suo esperimento risiede nell’aver sapientemente contaminato il suo horror, nato dalle rievocazioni di un sogno ricorrente (quello di essere seguito, appunto), con lo stile del coming of age sperimentato nella sua opera prima. E nell’averne offerto una lettura nuova, inebriante, intelligente.


I toni morbidi e delicati di The Myth of The American Sleepover sembrano trovarsi quasi agli antipodi di quelli aspri e inquieti di It Follows. Penseremmo a una radicale svolta tra il primo e il secondo lungometraggio del regista se non fosse per il robusto fil rouge che unisce le due opere: una sincera apprensione per il difficile passaggio dell’individuo dall’adolescenza alla maturità. Ciò che rende davvero unico It Follows è il saper fluttuare tra i tòpoi di un genere e le novità dell’altro senza mai affogare in uno soltanto; ma più di tutto l’essere in grado di tratteggiare il ritratto inquietante di una gioventù (bruciata, è il caso di dirlo) abbandonata a se stessa, rappresentata da un gruppo di studentelli che sembrano usciti da Nightmare e passano le proprie giornate distesi su un divano e in attesa di uno stimolo vitale.


Se da una parte It Follows riporta i nostalgici ai tempi in cui l’horror godeva del suo più lucente splendore, dall’altra non c’è momento del film in cui ci sembra di assistere davvero a qualcosa di già visto, complici le influenze artistiche di Van Sant e di Lynch che apportano un’estetica nuova (sottolineata dalla fotografia di Mike Gioulakis e dalle scenografie di Michael Perry), insolita per un genere ormai bloccato a formule stantie, dove spesso la paura è accompagnata dal buio della notte. Qui l’incombenza di un destino nefasto è illuminata dalla luce del giorno così come da quella di un lampadario, e incede lentamente per i grigi viali dei sobborghi spettrali del Michigan. Jay e i suoi amici sono tutti colpevoli del sesso e condividono un disagio comune: fanno parte di quel microcosmo chiuso di adolescenti braccati dall’ignoto, designato dalla scoperta di una sessualità che infonde un profonda agitazione e un vago senso di colpa. E, ancora una volta, c’è un’ombra che solo quei giovani possono ravvisare; c’è un mondo cui solo loro hanno accesso e la quale visione agli adulti è negata. Mitchell confeziona un horror che non necessita dell’oscurità o di demoni orripilanti per risvegliare le paure primordiali. It Follows si serve, più astutamente, di un’atmosfera che alimenta una paranoia logorante; un profondo senso di persecuzione derivato da una nuova visione della morte, essere alieno che si può vedere, toccare, forse addirittura eludere. E arriva a domandarsi: che cosa faremmo se potessimo vederla giungere?


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