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Contromano

23/05/2018 11:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

Contromano

Il ritorno di Antonio Albanese alla regia

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Mario Cavallaro è un abitudinario senza speranze. Qualsiasi cosa rappresenti un pur minimo cambiamento è, per Mario, terrificante e inaccettabile. La routine è il punto saldo della sua vita e non intende rifiutarvi: finché non piomba nella sua vita un senegalese ambulante che decide di vendere il suo stesso prodotto a prezzo stracciato. A questo punto non rimane che escogitare un piano per liberarsi del problema, e Mario intende farlo in maniera definitiva: rapire l’uomo e riportarlo nella sua terra natìa. Si tratta, in fondo, di un metodo pratico e conveniente per risolvere il problema dell’immigrazione extracomunitaria. Se solo il viaggio fosse più semplice di quel che si rivela essere.


Contromano è il ritorno di Antonio Albanese alla regia a sedici anni di distanza da Il nostro matrimonio è in crisi, scritto insieme a Vincenzo Cerami e Michele Serra. E, a pensarci bene, sono presenti alcuni tratti che riescono a unire le due opere: in primo luogo, il decidere d’interrogarsi sulla necessità del cambiamento catapultando i protagonisti in contesti sociali da loro sempre prudentemente scansati; in secondo luogo, ovviamente, il tono da commedia con cui s’impasta il tutto. Il Mario milanese e cinquantenne di Contromano è un lupo solitario che alza le barriere al mondo, specialmente quello dell’immigrazione, per scongiurare il pericolo di essere danneggiato da chi cerca di sopravvivere nella sua stessa città, ma con mezzi diversi. Contromano non è un film esente da difetti, e anche piuttosto palesi: per esempio, non risulta ben congegnata l’inflessione comica con cui Antonio Albanese vorrebbe di tanto in tanto arricchire la sua opera, che alla base è permeata da qualcosa di vagamente malinconico e demoralizzante (e questo si può considerare un punto a favore). Qualcuno potrebbe (e non a torto) rimproverare il regista di aver rappresentato gli extracomunitari seguendo, più che la realtà che si presenta sotto i nostri occhi ogni giorno, la voce dell’immaginario collettivo, sfociando così quasi nel macchiettistico. Eppure, fra i piccoli e apprezzabili pregi di Contromano, se ne annovera uno che non gli può essere negato: il coraggio. Il coraggio di fare delle contraddizioni, dei difetti e dei tratti caratteriali poco comodi il punto di forza di tutti i personaggi, non solo di quello manifestamente scontroso e che fa, quindi, da perno nelle vicende. Il coraggio di abbracciare, allontanando il politically correct e ogni sorta di retorica fine a se stessa (eccezion fatta per il finale), quelle divergenze culturali fra i due mondi contrapposti e qui proiettati che permettono alla sceneggiatura di non peccare di stupidità.


Contromano racchiude, inoltre, tutto il senso del road movie come genere cinematografico che fa da escamotage ideale per raccontare il cambiamento, attraverso la metafora dello spostamento fisico. Non mettiamo in dubbio che la “faccia tosta” costi, e costerà, al film l’essere bocciato per contrasti ideologici di chi potrebbe fraintendere quello che è, invece, il tentativo di disegnare in maniera onesta le due facce di una stessa medaglia molto somigliante alla realtà, che lasciano immaginare quali siano i veri responsabili delle azioni di chi allontaniamo, alle varie richieste, per mancata pazienza e del pregiudizio che s’insinua sotto la nostra pelle. Antonio Albanese ci confida che un modo per superare gli ostacoli dei preconcetti e delle diversità, accogliendole per come sono, esiste. Tuttavia, si ha l’impressione che non basti ciò che viene narrato (e come viene narrato, sebbene sia apprezzabile lo sforzo) per poter dare un’idea della reale situazione esposta, che qui si risolve fin troppo facilmente con più di qualche momento prevedibile.


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