Finchè ci sarà cinema ci saranno film sul pugilato. E finchè ci sarà pugilato al cinema ci sarà Rocky. Quarant'anni dopo il primo film della saga, ben sette pellicole dopo, apre il 2016 Creed – Nato per combattere, primo spin off di una delle saghe sportive più famose di sempre. Sylvester Stallone, decorato agli ultimi Golden Globe del premio come Miglior attore non protagonista, per la prima volta sceglie di non firmare la sceneggiatura del film, concentrandosi solo sul proprio ruolo di comprimario. Mentore di un giovane pugile e di una nuova generazione di autori che hanno il film del 1976 fisso davanti agli occhi come un'intramontabile storia di passione sportiva, contenitore di tutte quelle metafore per cui il pugilato resta il più amato degli sport cinematografici. Adonis (Michael B. Jordan), orfano di padre (e figlio illegittimo di Apollo Creed), viene adottato da Mary Anne, vedova del leggendario boxeur. Il ragazzo è onesto e combattivo, troppo per rinunciare al ring, che lo chiama come un'eredità importante. Quando le lotte clandestine in Messico non gli bastano più, Adonis parte per Philadelphia in cerca di Rocky Balboa (Sylvester Stallone), per farsi istruire alla boxe. L'ex pugile, che ormai gestisce un ristorante, non riuscirà tuttavia a restare sordo al richiamo di un ragazzo che ha in sé il fuoco di suo padre. Nonostante il marketing e il sempre presente volto noto di Stallone, Creed non è solo un'operazione nostalgica per i fan di Rocky. Il regista Ryan Coogler si cimenta in un'attualizzazione dei miti del pugilato, alternando vecchie metafore, eterne lotte di emancipazione e qualche ingenuità sempre piacevole in nome di tutto ciò che la boxe rappresenta, a livello di simboli e battaglie. Stallone si fa da parte ma, sebbene non più autore, resta a troneggiare sul film: garanzia di continuità con la saga ma, soprattutto, della relazione che lega Rocky ad Apollo, due anime di uno stesso racconto che dal 1976 parla di gloria, cadute, successo come solo pochi altri drammi sportivi hanno fatto. Stavolta però Rocky, personaggio cardine del cinema e della società americana, simbolo di ogni rivalsa possibile, prende sotto la sua ala un giovane uomo combattivo. E Michael B. Jordan è credibile e rispettoso, nei panni di Adonis: un pugile umile, che dietro la sua stazza e l'ingombrante somiglianza con Carl Weathers, riesce a farsi protagonista di un percorso sportivo e umano personale, che non scimmiotta i “padri” eppure li omaggia senza ruffianeria. Coogler, orfano della penna di Stallone, riesce ancor più che negli ultimi film della serie a rendere giustizia a una saga preziosa: finalmente libera di allontanarsi dalle vicende dei protagonisti, la storia di Rocky si allunga al futuro e abbraccia un nuovo personaggio, giovane e fresco, artefice di una storia di sport che vorrebbe avere il sapore autentico dei primi film. Può darsi non ci riesca del tutto e che il peso di sei film precedenti sia più che massimo ma - forse perchè Apollo è sempre stato il personaggio più simpatico della saga - Creed sembra essere un buon nuovo inizio per un racconto (quasi) inedito. E Sylvester Stallone in un ruolo studiato apposta per lui, che non si prende in giro ma neanche troppo sul serio, è una bella sorpresa.