Rocky IV è stato un capitolo emblematico nella saga del pugile di Philadelphia: Ivan Drago, avversario supremo, era la montagna da scalare per vendicare un amico e consacrarsi mito della boxe per lo Stallone Italiano. Tre decenni dopo l’epico scontro, Rocky (Sylvester Stallone) e Ivan (Dolph Lundgren) si trovano nuovamente faccia a faccia, ma questa volta nelle vesti di mentori, rispettivamente per Adonis Creed (Michael B. Jordan) e Victor Drago (Florian Munteanu). Dagli eventi raccontati in Creed è passato del tempo: Adonis è il campione del mondo, la sua compagna Bianca (Tessa Thompson) aspetta una figlia e tutto sembra andare per il meglio; ma il ragazzo è in crisi d’identità , incapace di uscire dal ruolo di "figlio di Apollo Creed" (Carl Weathers) per costruire la propria personale leggenda. Nel mezzo di questa crisi piomberà la sfida di Victor, cresciuto nella rabbia e nell’odio, fermentati in una vita da paria, vissuta al fianco di un padre sconfitto e mai perdonato dalla Madre Russia. Steven Caple Jr è il regista al timone di un sequel tanto prevedibile da ipotizzare, quanto rischioso da realizzare: il confronto non è solo con l’illustre predecessore cui rimanda, ma anche con lo stesso Creed, un film che ha dimostrato di stare bene in piedi sulle proprie gambe, omaggiando la saga di Rocky senza rimanerne schiacciato. La costruzione di questo secondo capitolo procede in modo molto simile a Rocky IV, condensando però le figure di Apollo e Rocky nel solo Adonis, con Michael B. Jordan ormai pienamente calato nel ruolo e Sylvester Stallone sempre efficace nel rendere l'ex-campione (che del suo passato rimpiange solo la moglie Adriana e che non trova il coraggio di chiamare il suo stesso figlio al telefono). Dall’altra parte della barricata, Ivan e Victor sono una coppia tragica nella loro sopportazione stoica delle privazioni e del dolore di una vita vissuta ai margini, dopo un breve periodo di notorietà e rilevanza internazionale. Victor è un avversario brutale, possente e rabbioso, portato sullo schermo dal massiccio Florian Munteanu, in modo simile a quanto fatto da Tom Hardy in Warrior; simile a Warrior è anche la psicologia del personaggio, con motivazioni comprensibili e una rabbia che esprime soprattutto il dolore dato dall’abbandono da parte della madre (Brigitte Nielsen). Lo sviluppo della trama di Creed II, non solo per chi conosce bene la saga di Rocky, è certamente prevedibile; ma la classica evoluzione della caduta e del riscatto è qui composta in maniera più che godibile, dando ampio spazio a sentimenti e condizioni psicologiche che si alternano a confronti sul ring curati ed entusiasmanti. I rimandi a Rocky sono puntuali ma misurati. La filosofia del film è interessante. A dispetto di quel che si potrebbe pensare, non è la vendetta a muovere Adonis (quella molla è più vera per Ivan Drago, che almeno inizialmente fa di Victor il suo personale strumento di redenzione): Creed II ha un’impostazione per molti versi più egoistica ma anche più reale. Adonis cerca se stesso e la propria affermazione. Il confronto con il padre lascia in fondo un po’ il tempo che trova: la spinta ad eguagliarlo, o anche a superarlo, non è sufficiente a dire al ragazzo chi sia davvero, per cosa combatta. E in questo Adonis è più simile a Balboa che al genitore, cementando ancora di più il legame che unisce allievo e maestro. In definitiva Creed II, come il primo capitolo, contribuisce a rendere la saga capace di costruire una propria identità , rendendosi autonoma e affiancandosi al ciclo di Rocky piuttosto che rimanerne strettamente succube.