Siete tra quelli che amano o che detestano Zack Snyder? Abbiamo ripercorso la sua carriera, dagli inizi fino all'approdo nell'universo DC
Internet è un ricettacolo di haters e malelingue e sui blog di cinema uno degli argomenti che, da sempre, a ondate, più infiamma gli animi è la battaglia tra Marvel e DC. Meglio i frivoli pigiamini colorati o la drammaticità morbosa?
Ma esiste anche una seconda diatriba, una specie di “sotto-faida” che riesce a far discutere anche di più: Zack Snyder è stato davvero una buona scelta per plasmare il DC Cinematic Universe? Sua è infatti la regia di 3 dei 5 film usciti sino a oggi, tra cui il controverso Batman v Superman: Dawn of Justice e il discusso Justice League. Che poi, quest’ultimo film non è tutta farina del suo sacco: ma di questa storia è giusto parlare a tempo debito.
Certo è che, sin dall’esordio, Snyder ha impresso ai propri film uno stile definito, che negli anni si è perfezionato raggiungendo un’estetica che, nel cinema contemporaneo, ha pochi eguali.
L’esordio zombie di Zack Snyder
Dopo una gavetta a base di videoclip e spot pubblicitari, Snyder debutta alla regia con il remake de L’alba dei morti viventi di George A. Romero. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2004, il film si distacca molto dalla sua controparte romeriana, mantenendo come unico caposaldo la location del centro commerciale.
Il resto della pellicola è svuotata da qualsiasi sottotesto politico/sociale caro al cineasta di Pittsburgh, preferendo una messa in scena più muscolare e action: Zack Snyder presenta una nuova generazione di zombie, scattanti e reattivi come atleti sotto steroidi (nel 2002 lo fece già Danny Boyle con 28 giorni dopo, ma i suoi mostri vengono considerati cavie infette, non come zombie) imprimendo al film la propria impronta che, sebbene ancora acerba, è comunque già riconoscibile.
La critica emise giudizi altalenanti, ma i 100 milioni di dollari d’incasso garantirono a Zack Snyder il “permesso” di portare sullo schermo quello che lui avrebbe voluto fosse il suo esordio: 300 di Frank Miller.
Graphic novel al cinema: 300 e Watchmen
300 è senza dubbio uno dei film più importanti del primo decennio degli anni 2000. Non tanto a livello contenutistico – comunque ripropone l’affascinante battaglia delle Termopili – ma sul piano registico. L’impronta estetica di Snyder è encomiabile e la tecnica dei piani sequenza in battaglia, in cui si alternano rallenty e accelerazioni, è stata letteralmente saccheggiata e riutilizzata in svariate altre pellicole.
Lui però è stato il primo, e ha fatto della slow motion una vera e propria arte, destando i primi malumori tra i succitati haters. A ogni modo il film raccogle più favori che dissensi, oltre a quasi 700 milioni di dollari di incasso, facendo lievitare l’ambizione di Snyder
Decide quindi confrontarsi con quella che probabilmente è la graphic novel per eccellenza: Watchmen di Alan Moore, un progetto bramato dal cinema sin dagli anni ’90 e attorno al quale hanno orbitato registi del calibro di Darren Aronofsky, Paul Greengrass e Terry Gilliam.
Zack Snyder si approccia alla monumentale opera con l’entusiasmo di un fan-boy, trasponendo le tavole in modo maniacale, inquadratura per inquadratura, battuta per battuta, cambiando solo un dettaglio nel finale per dare maggior coerenza all’intera storia.
Il risultato è, a detta di chi scrive, il miglior cinecomics di sempre: monumentale opera che nella sua Ultimate Cut sfiora le 4 ore di durata.
La prova d’autore di Sucker Punch
Dopo essersi confrontato con l’animazione digitale (Il regno di Ga' Hoole - La leggenda dei guardiani, basato sull’omonima saga letteraria), Zack Snyder torna al live-action con il suo primo e unico film non derivato da alcun altra opera: Sucker Punch, definito dallo stesso regista come una sorta di «Alice nel paese delle meraviglie con le mitragliatrici».
In questo film l’estetica è tutto: ambientazioni da videogioco che spaziano dal medieval-fantasy a ucronie horror sino allo sci-fi più spinto. Combattimenti in pianisequenza, alternanza di slow e high motion, lenti bifocali e sequenze musicate al limite del videoclip (meravigliosa quella d’apertura sulle note della cover melodica di Sweet Dreams). Visivamente tutto è sfarzoso, barocco ed estremamente audace. Ma la critica non si convice, stroncando il film per la trama piatta e i personaggi stereotipati.
Guarda la nostra Sfida dedicata a Zack Snyder
Zack Snyder ne esce a pezzi, bramoso di un riscatto personale e professionale. È qui che Warner gli affida il compito di plasmare un nuovo universo cinematografico da contrapporre al monopolio imperante della Marvel: il DC Cinematic Universe, progetto varato anche grazie al benestare di Christopher Nolan e all’imprinting dato dalla sua trilogia de Il cavaliere oscuro.
Snyder e il DC Universe
Il primo film del DC Cinematic Universe è stato L'Uomo d'Acciaio, approdato in sala a ben 5 anni di distanza dall’inizio dell’Impero Marvel. Criticato da molti, è il racconto del percorso affrontato da Clark Kent per raggiungere la propria consapevolezza e abbracciare finalmente il suo destino di protettore dell’umanità.
Un discorso complesso e stratificato, più focalizzato sull’introspezione che su una messa in scena caciarona. Il tentativo di elevare i cinefumetti a uno status più autoriale, ma che è incappato in molti, troppi dissensi, la maggior parte dei quali, col senno di poi, abbastanza pretestuosi.
Se c’è un aspetto su cui però le platee concordano è l’annichilente devastazione urbana che Zack Snyder inscena nella battaglia di Metropolis.
Qualcosa di tanto catastrofico da rendere impotente lo spettatore e gettare un’ombra persino sul “distruttore per eccellenza” Michael Bay. Una scena apocalittica che ha subito scatenato polemiche, pretendendo che nel sequel venisse resa giustizia alle vittime ma che, per qualche strano motivo, l’anno precedente non venne mossa alla Marvel dopo l’altrettanto distruttiva battaglia di Manhattan. L'Uomo d'Acciaio incassa 670 milioni di dollari e, nonostante tutto, non viene considerato un successo. Perciò per il sequel la produzione gioca al rialzo con l’entrata in scena di un altro famigerato eroe DC: Batman.
Batman, Superman e la dura vita nel DC Universe
Batman v Superman: Dawn of Justice è un film atteso tanto quanto il primo Avengers, eppure alla sua uscita le critiche fioccano su Zack Snyder come neve ad alta quota. Indubbiamente ci sono sbavature e imperfezioni, ma è anche innegabile che Snyder avesse una propria visione e che ogni fotogramma trasudi di una passione da fanboy che a tratti supera persino quella sfoggiata in 300 e Watchmen.
Quelle erano trasposizioni di opere autoconclusive, ricreate pedissequamente; qui invece il regista ha a sua disposizione 80 anni di avventure e interi universi da esplorare. Ed è forse proprio questo il vero problema del film: c’è talmente tanta voglia di inserire concetti, aprire parentesi, anticipare temi e personaggi, nascondere simbolismi (uno su tutti è il marcatissimo parallelo tra Superman e Gesù Cristo) che a fine visione si è frastornati dall’enorme saturazione di contenuti.
La visione di Zack Snyder emerge grazie al confronto tra la versione cinematografica e la director’s cut: mezz’ora di scene inedite che approfondiscono la psicologia dei due personaggi (sia come supereroi sia come cittadini), scavando nei rancori che li porteranno allo scontro annunciato. Un più ampio respiro che comunque ancora risulta imbrigliato da una produzione poco coraggiosa.
A ogni modo, nonostante le numerose critiche, Warner e DC seguitano per la loro strada sfornano in un anno altri due cinecomics (l’ancor più bistrattato Suicide Squad e Wonder Woman) oltre ad annunciare Justice League, di cui Batman v Superman: Dawn of Justice altro non è che un articolato prologo.
Verso la Justice League
Che a DC e Warner manchi una strategia è un dato oggettivo: procedono per tentativi, mentre la Marvel ha stende calendari su calendari di nuove uscite. Emblematica è la vicenda produttiva di Justice League - annunciato già nel 2013 e in arrivo nelle sale solo a novembre 2017 – che porta avanti un piano diametralmente opposto rispetto a quello della Casa delle Idee: partire da un film di gruppo per poi sviscerarne i singoli eroi.
Per questo dal Superman di L'Uomo d'Acciaio si è passati allo scontro con Batman, infilandoci la presentazione di Wonder Woman e i camei di Acquaman (che tornerà solista, diretto da James Wan), Flash (il cui lungometraggio è stato più volte rimandato ed è attualmente è senza regista) e Cyborg. Dopo svariati cambi di sceneggiatori e ri-stesure della storia, Justice League è diventato un film a sé stante, quando inizialmente erano previste due pellicole consequenziali. A riprese quasi ultimate la figlia di Zack Snyder di suicida e lui è costretto ad abbandorare il progetto per star vicino alla propria famiglia.
Il film passa quindi sotto la guida di Joss Whedon (già regista di The Avengers e Avengers: Age of Ultron) avvicinatosi alla DC per portare sullo schermo un film in solitaria su Batgirl, dopo aver collaborato già attivamente alla stesura della sceneggiatura di Justice League. Il suo annuncio come sceneggiatore, infatti, già era bastato per alzare un polverone su internet: e se avesse alleggerito troppo il tono? E se Justice League fosse risultato troppo simile ai Vendicatori? Joss Whedon tiene una lunga sessione di reshooting e ultima il film tra reazioni dei fan che altalenano tra giubilio e sconforto.
Nonostante le disavventure, il film rispetta la propria data d’uscita mentre la paternità della regia viene più volte messa in discussione, sino alla categorica presa di posizione della produzione: Justice League è un film di Zack Snyder, Joss Whedon compare solo come sceneggiatore. Il resto della storia è quella che conosciamo: quella della Justice League director's cut di Zack Snyder, attesa nel 2021.
Guarda la nostra Sfida dedicata alle director cut's