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Guillermo del Toro e il fantasy, una storia d'amore

03/12/2018 14:11

Marco Filipazzi

Approfondimento Film, Ritratto, Film Fantasy, Guillermo del Toro,

Guillermo del Toro e il fantasy, una storia d'amore

Da Cronos a La forma dell'acqua: breve viaggio nel cinema di uno dei registi che ha reso il fantasy un genere blockbuster

Da Cronos a La forma dell'acqua: breve viaggio nel cinema di uno dei registi che ha reso il fantasy un genere blockbuster

Se c'è un autore che più di chiunque altro ha contribuito a sdoganare il fantasy al cinema, quello è Guillermo del Toro. Messicano, classe 1964, è uno che in questo genere non ha mai smesso di credere e che ne ha fatto vero e proprio manifesto del suo cinema, declinandolo in varie sfumature e contaminandolo con altri generi se necessario. Glorificandolo in più di un'occasione.

 

Ben inteso, non è che abbia fatto tutto da solo - due saghe letterarie approdate al cinema all'inizio del nuovo secolo hanno aiutato giusto un pochino a far cadere numerosi preconcetti - ma al contrario di molti altri registi, che si sono buttati sul fantasy solo per cavalcare la cresta dell'onda, Guillermo del Toro non l'ha mai abbandonato. Prima, tra gli anni '70 e i '90, questo genere era considerato borderline a Hollywood, buono per i nerd ma non per fare soldi: pellicole come Conan il Barbaro di John Milius o La storia infinita di Wolfgang Petersen (insieme a poche altre) sono l'eccezione che confermano la regola.

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Ma poi è accaduta una cosa: i ragazzini ghiotti di fantasy sono diventati adulti, si sono insidiati nell'industria cinematografica e hanno fatto scoprire al mondo che il fantasy non è solo una sottocultura di nicchia alla quale sono dediti i fan di D&D o quelli che conoscono la dizione Quenya; si tratta di una vera e propria corrente dalla tradizione secolare, che affonda le radici nelle favole di Andersen e dei fratelli Grimm. 

 

Se vi fermate a riflettere è la stessa identica cosa che è accaduta ai cinecomics più o meno nel medesimo periodo, dallo Spider-Man di Sam Raimi in poi: tutto d'un tratto si sono imposti all'attenzione del grande pubblico e sono diventati incredibilmente cool e popolari. Le saghe di Harry Potter e Il signore degli anelli hanno fatto da apripista (Il signore degli anelli - Il ritorno del re è stato il primo fantasy ad aggiudicarsi l'Oscar come Miglior Film nel 2004) ma erano solo la punta dell'iceberg: al di sotto si nascondevano una moltitudine di sfumature differenti pronte a salire anch'esse in superficie.

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Dark, epic, gothic, medieval, urban, horror, romantic sono tutte declinazione del medesimo genere: Guillermo del Toro, attraverso i suoi film (sia come produttore che come regista) ha militato nella maggior parte.

 

Sin dal suo esordio, avvenuto nel 1993 con Cronos, sono già presenti molti elementi che diverranno poi la base della sua poetica cinematografica. La storia - che ruota attorno a un piccolo marchingegno in grado di donare l'immortalità - è un sapiente mix di suggestioni alchemiche e folklore popolare che discostano il film dall'horror puro, rendendolo più simile a una favola nera.

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Un altro elemento che diverrà ricorrente nelle sue pellicole (e che qui è solo accennato) è la contestualizzazione storica: in Cronos, infatti, la vicenda prende avvio nel 1500 durante l'Inquisizione spagnola. Ma è solo con il suo terzo lungometraggio da regista, La spina del Diavolo, che Guillermo del Toro fa diventare la Storia una vera colonna portante della narrazione. 

 

Ambientata in un orfanotrofio della Spagna del 1939, sul finire della Guerra Civile, la vicenda si àncora a tal punto al contesto che sarebbe impossibile pensarla altrove o in un periodo differente. Il medesimo discorso vale anche per Il labirinto del fauno (a oggi forse l'espressione massima della sua filmografia) che si lega a doppio filo con La spina del Diavolo: non solo per il contesto (anche qui la vicenda si svolge in Spagna durante la Guerra Civile), ma anche per il tono.

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All'interno dei due film, infatti, diviene preponderante la componente storica rispetto a quella fantasy, che appare quasi come una sottotrama. Questo concetto sembra ribaltarsi completamente quando si vanno a esaminare le sue due ultime opere, Crimson Peak e La forma dell'acqua.

 

Anch'esse calate in una finestra storica ben precisa - l'epoca vittoriana sul finire dell' 800 nel primo caso, gli anni '50 della guerra fredda nel secondo - essa viene usata come pura contestualizzazione e mai approfondito a dovere. Invece è lo spirito più prettamente fantasy a far progredire la storia ed evolvere i personaggi. 

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La forma dell'acqua mette al centro della vicenda un altro tema molto caro al regista messicano: i mostri, i diversi. Dopo aver esplorato questo discorso sia nel dittico di Hellboy, sia nel sottovalutato Blade II, nel suo ultimo film Guillermo Del Toro si focalizza sulla storia d'amore impossibile tra due freak: un'inserviente muta e una bizzarra creatura anfibia il cui design molto deve al Mostro della Laguna Nera di Jack Arnold. Come dichiarato dallo stesso regista, egli è sempre stato innamorato dei mostri.

 

«La mia fascinazione per loro ha molto di antropologico. Li studio, li disseziono in molti dei miei film: voglio sapere come funzionano, come appaiono nel loro intimo, come sono le loro relazioni sociali».

 

La forma dell'acqua si accoda perfettamente a questa dichiarazione e dal successo che sta riscuotendo è lampante che il lavoro antropologico di Guillermo del Toro sia stato fatto in maniera ineccepibile questa volta. 

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