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Black Lives Matter | Il cinema afroamericano, parte III: la Blaxploitation

12/06/2020 11:00

Marcello Perucca

Speciale Film, Black Lives Matter,

Black Lives Matter | Il cinema afroamericano, parte III: la Blaxploitation

Continua la nostra breve storia degli afroamericani al cinema. Parte terza: il cinema come emancipazione, la Blaxploitation

 

 

 

Continua la nostra breve storia degli afroamericani al cinema. Parte terza: il cinema come emancipazione, la Blaxploitation

 

 

Con gli anni Sessanta il popolo afroamericano, o per lo meno una parte consistente di esso, acquista maggior consapevolezza dei propri diritti.  Il 7 marzo 1965, nella cittadina di Selma in Alabama, la polizia americana, unendosi a gruppi di cittadini assoldati per l’occasione, caricò duramente i partecipanti a una manifestazione per i diritti dei neri americani. La manifestazione, una marcia pacifica da Selma a Montgomery, capitale dello Stato, era stata indetta per protestare contro l’uccisione, qualche giorno prima, di un ragazzo di colore da parte della polizia. Quel giorno, una domenica, venne ribattezzato come Bloody Sunday. Le immagini del violento pestaggio che causò numerosi feriti, fecero il giro del mondo e indussero l’allora presidente Lyndon B. Johnson a emanare il “Voting Rights Act”, una legge che vietava le discriminazioni elettorali su base razziale e che è considerata a tutt’oggi fra i risultati più importanti raggiunti dal movimento per i diritti civili. Sino a quel momento era ancora in vigore la segregazione razziale e i neri, che già avevano limitati diritti rispetto ai bianchi, erano esclusi dal voto. L’insieme delle leggi discriminatorie nei confronti dei neri andavano sotto il nome di “Jim Crow”, rendendoli, di fatto, cittadini inferiori. Era stato lo stesso Johnson, nel 1964, a promulgare il “Civil Rights Act” che equiparava maggiormente i neri ai bianchi ma privandoli ancora del diritto di voto. I leader neri, fra cui Martin Luther King, non abbandonarono l’idea della marcia pacifica da Selma a Montgomery e il 25 marzo 1965, oltre 25 mila persone arrivarono sotto le finestre del Governatore dell’Alabama, dove King tenne uno dei suoi discorsi più famosi. Circa un mese prima, il 21 febbraio, la comunità nera aveva visto assassinare uno dei suoi più importanti leader, Malcom X e tre anni più tardi, avrebbe pianto la morte dello stesso Martin Luther King, assassinato a Memphis il 4 aprile 1968.

In tale contesto il cinema afroamericano tenta di diventare strumento di protesta ed emancipazione nella lotta dei neri. Sono da annoverare le esperienze filmiche di William Greaves, regista newyorkese autore di numerosi documentari, fra i quali Emergency Ward (1959), resoconto di una giornata passata presso il pronto soccorso del Montreal General Hospital’s e The Fighters (1974) sul primo combattimento fra Muhammad Alì e Joe Frazier del 1971, valido per la corona mondiale dei pesi massimi e vinto ai punti da Frazier. 

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La nascita della Blaxploitation

Con il termine Blaxploitation, derivante dalla contrazione di due parole: black (nero) ed exploitation (sfruttamento) si intende un filone di film, solitamente a basso costo, realizzati a partire dagli anni Settanta, da registi afroamericani e con cast quasi prevalentemente di colore. Si tratta di film quasi sempre d’azione, a basso costo, che ribaltavano in maniera dissacrante quelle che, un tempo erano le caratteristiche temute del black: la sua brutale forza fisica, la violenza nei confronti delle donne bianche e così via. Inoltre, a fare da regina in questo genere di film, è la colonna sonora. Artisti del calibro di James Browne, Marvin Gaye, Solomon Burke, Isaac Hayes hanno contribuito ai film della Blaxploitation.

 

La pellicola che diede il via a questo genere fu Sweet Sweetback’s Baadasssss Song (Melvis Van Peebles, 1971) in cui il protagonista sfuggiva alla polizia grazie alla sua forza fisica nonché alla compiacenza e all’aiuto di donne bianche che rimanevano soggiogate dalla sua bellezza. Si tratta di un film indipendente: Van Peebles lo girò dopo L’uomo caffelatte (Watermelon Man), storia grottesca di un assicuratore bianco e razzista che, una mattina, si sveglia scoprendo di essere diventato nero. In Sweet Sweetback’s Baadasssss Song, cosa rara sino a quel periodo, il nero è un vincente. Eloquente è la didascalia iniziale del film, nella quale si legge:  «Questo film è dedicato a tutti i fratelli e le sorelle che ne hanno abbastanza dell'uomo bianco» e il fatto che nel cast non compaiano i nomi degli attori bensì “la comunità nera”. Il film di Melvin Van Peebles, costato appena 150.000 dollari, ne incassò più di quindici milioni, ottenendo un enorme successo commerciale venendo ufficialmente approvato dal Black Panther Party. Diede il via a tutta una serie di film sui neri, fatti da neri che narravano la vita dei neri, le loro aspettative, le loro frustrazioni. L’afroamericano che appare sullo schermo non è quello borghese che anela ad avvicinarsi ai suoi pari bianchi (Sidney Poitiers docet), bensì quello delle classi più disagiate delle grandi metropoli, come New York o Los Angeles. In queste pellicole i neri erano visti anche come sex-symbol, vere e proprie macchine del sesso, ammirati dalle donne. Era la rivincita dei neri: non più Toms, né Coons ma astuti, vincenti e belli, più di James Bond o di Frank Bullitt, come recitava la frase di lancio di un altro dei più famosi film della Blaxploitation, Shaft, il detective (Shaft, 1971) di Gordon Parks.

 

Ma non sono solo i maschi a essere degli eroi, in questi film. Anche le donne hanno le loro eroine.

 

Prime fra tutte Tamara Dobson in Cleopatra Jones, licenza di uccidere (Cleopatra Jones, Jack Starrett, 1973) e Pam Grier che divenne un’icona del genere, interpretando in molte pellicole ruoli di donna forte, intelligente e indipendente, oltre che sexy. Spesso diretta da Jack Hill in vari film tra cui Coffy (1973), Foxy Brown (1974), Sheba, Baby (1975), divenne una delle attrici più famose d’America. Lavorò spesso per la televisione, interpretando, negli anni Ottanta numerosi episodi della serie Miami Vice, sino a quando, nel 1997, Quentin Tarantino, appassionato di Blaxploitation, la volle protagonista in Jackie Brown, pellicola che si rifaceva espressamente al genere nero in voga negli anni Settanta. Le storie narravano di racket, prostituzione, droga. In cui l’eroe di turno, per lo più un solitario, indagava e sconfiggeva i malvagi. Erano film in cui si affermava la supremazia dei neri sui bianchi. Soprattutto erano pellicole fuori dallo star-system hollywoodiano. La Blaxploitation durò poco più di un decennio, ma fu un periodo sufficientemente lungo per permettere ai neri di rispondere in maniera chiara al razzismo che permeava il sistema hollywoodiano.

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