Ultimo capitolo della nostra breve storia degli afroamericani al cinema. Parte quattro, dagli anni '80 ai Duemila: da Spike Lee a Jordan Peele
Con la fine della Blaxploitation il cinema afroamericano tende a farsi inglobare dallo star-system hollywoodiano. Sidney Poitiers, ad esempio, si dà alla regia, per altro senza grande successo, mentre emergono interpreti che diventeranno famosi come attori comici. Uno di questi è Richard Pryor che farà coppia con Gene Wilder in alcuni film; un altro è Eddie Murphy che interpreterà alcune pellicole di grande successo quali 48 ore (48 Hrs., 1982) di Walter Hill, in coppia con Nick Nolte e Una poltrona per due (Trading Places, 1983) di John Landis, insieme a Dan Aykroyd.
In questo periodo sembra mancare all’appello il Black Cinema, relegato a fattore di nicchia, un cinema indipendente estromesso dal circuito commerciale destinato al grande pubblico. Emergono, tuttavia, due nomi, quello di Robert Townsend, attore e regista di alcuni film di successo, e quello di un giovane filmmaker, studente presso la New York University, che realizza il primo lungometraggio di una carriera di successo anche se, in alcuni casi, non scevra da critiche più o meno fondate. Parliamo di Spike Lee che, nel 1982, gira Joe's Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads, che fu la sua tesi di laurea e che ottenne anche un ottimo successo di pubblico e di critica, vincendo vari premi fra i quali quello come miglior film al Festival del Cinema di Locarno.
Da Spike Lee agli anni Duemila
Spike Lee fu il regista che permise al cinema afroamericano di aprirsi al cinema più di massa e lo fece con Lola Darling (She's Gotta Have It, 1986). Girato in bianco e nero, è la storia, ambientata a Brooklyn, di una giovane artista afroamericana, Lola (Nola nella versione originale), indipendente e disincantata, che vive contemporaneamente e con naturalezza, tre diverse relazioni sessuali e sentimentali. Alla fine a emergere sarà la totale indipendenza di Lola, che sceglierà uno dei tre uomini ma, contemporaneamente, deciderà di vivere la propria vita in maniera, appunto, indipendente.
La carriera di Spike Lee si dipanerà lungo trent’anni di cinema come attore, regista, produttore, con film a tematiche varie ma che affrontano sempre argomenti quali il razzismo, i rapporti interrazziali, le droghe, la violenza. Dipingendo figure femminili intense e indipendenti, quali appunto quella di Lola o di Theresa in Girl 6 - Sesso in linea (Girl 6, 1996). Lanciando, in Mo’ Better Blues (1990), Denzel Washington che divenne uno dei più quotati attori neri. Diresse Malcom X (1992) sulla vita del famoso leader afroamericano, interpretato sempre da Denzel Washington, alternando sullo schermo le immagini del leader dei Black Muslims a quelle del feroce pestaggio di Rodney King, avvenuto a Los Angeles nel 1991 da parte di un gruppo di poliziotti. Elevò, con He Got Game (1998) il basket a sport identitario della comunità nera. Fu acclamato dal pubblico con Fa’ la cosa giusta (1989), un film sui rapporti interrazziali. Si recò a New Orleans per filmare il disastro provocato dall’uragano Katrina e realizzare il documentario When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts (2005). Tornando ad altissimi livelli con il recente BlackKklansman (2018).
Insomma, un artista che ha permesso al cinema afroamericano di fuoriuscire dal “ghetto” nel quale stava sprofondando all’inizio degli anni Ottanta, ma che ha, involontariamente, un po’ oscurato altri cineasti afroamericani altrettanto validi fra i quali i più conosciuti sono Mario Van Peebles, figlio del Melvin Van Peebles della Blaxploitation, che ha realizzato film interessanti come New Jack City (1991) o il quasi sconosciuto in Italia Panther (1995); John Singleton (Boyz N The Hood, 1991); Bill Duke autore noto soprattutto in ambito televisivo.
Arrivando sino ai giorni nostri con Lee Daniels e Jordan Peele. Il primo autore di Precious (2009) e del recente The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (The Butler, 2013) che narra la vicenda di Cecil Gaines, maggiordomo di colore alla Casa Bianca per oltre tre decenni, interpretato da un intenso Forest Whitaker.
Il secondo, con Get Out (2017) e, successivamente, con Us (2019) riprende le venature horror nella cinematografia black - introdotte anni prima dal regista britannico Bernard Rose con Candyman - Terrore dietro lo specchio (Candyman, 1992) - utilizzando il film di genere per denunciare il razzismo ancora profondamente radicato nella società americana.