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Black Lives Matter: Horror e razzismo, da George A. Romero a Jordan Peele

02/06/2020 16:36

Marco Filipazzi

Speciale Film, Black Lives Matter, Jordan Peele, George A Romero, candyman,

Black Lives Matter: Horror e razzismo, da George A. Romero a Jordan Peele

Qual è il rapporto tra horror e razzismo? Un piccolo viaggio tra George A. Romero a Jordan Peele

 

 

 

Qual è il rapporto tra horror e razzismo? Un piccolo viaggio tra George A. Romero a Jordan Peele

 

 

Se si mettono in relazione la cultura afroamericana e i film di genere, la prima cosa che salta in mente è: perché negli horror il nero muore sempre per primo? Non siamo qui per rispondere a questa domanda, ovviamente ironica e provocatoria, ma per esaminare il rapporto tra horror e razzismo e tutto ciò che questo genere ha fatto per sconfiggere questo mostro terribilmente reale. Perché l'horror non è solo paura e terrore, ma è il genere che più di qualunque altro riesce a riflettere sulla società e sui mostri che la infestano. Non a caso la prima pellicola da considerare è di George A. Romero, un regista tanto horror quanto politico, che non ha mai fatto mancare metafore e sottotesti nei suoi film.

L'horror politico di Romero

Era il 1968, Romero era in viaggio in auto verso New York con la prima copia stampata della sceneggiatura de La notte dei morti viventi, in cerca di finanziatori. Durante il viaggio la radio annunciò la morte di Martin Luther King, al quale avevano appena sparato a Memphis. Anni dopo il regista commentò che «immediatamente pensai che il mio primo film sarebbe diventato un film totalmente politico» e in parte fu così. Per il ruolo del protagonista Ben venne scelto Duane Jones, attore afroamericano sconosciuto: una scelta insolita se si considera il contesto sociale degli USA sul finire degli anni '60 (la guerra del Vietnam, gli Hippie, il movimento dei diritti razziali, le Black Panther) e ancora più insolito era il fatto che nel film non vi fosse nessun riferimento al colore della sua pelle. Romero dichiarò che Jones fu scelto semplicemente perché il suo fu il provino migliore. Quale sia la verità non la sapremo mai, ma è un dato di fatto che Romero portò avanti questa scelta anche nei film successivi: in Zombie il protagonista è Ken Foree (altro attore di colore allora sconosciuto e qui al suo esordio); ne Il giorno degli zombie il protagonista maschile è l'afroamericano Terry Alexander e ne La terra dei morti viventi chi comanda l'orda di zombie è Big Daddy, anche lui nero.

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Insomma, più che una coincidenza quella di protagonisti di colore della saga degli Zombie di Romero appare come una vera scelta politica, perfettamente in linea con il suo modo di fare cinema. Inoltre il finale de La notte dei morti viventi, nonostante sia stato girato più di 50 anni fa, è più attuale che mai: il protagonista viene svegliato dagli spari di una pattuglia che sta setacciando i dintorni della casa. Uno di loro vede Ben all'interno della casa con un fucile e, scambiandolo per uno zombie, gli spara in piena fronte. Un epilogo talmente grottesco da risultare quasi premonitore.

Il fenomeno Candyman 

Negli anni '80 il genere horror fu caratterizzato dal dilagare dello slasher e dall'affermarsi degli autentici "mostri sacri" del genere. Icone come Freddy Krueger, Michael Myers, Jason Voorhees e Faccia di Cuoio. E i neri? In questi film erano spesso relegati a ruoli secondari, marginali, o a semplice carne da macello. Almeno fino al 1992 quando sugli schermi arrivò Candyman, il primo boogyman afroamericano! Un uncino al posto della mano destra, uno sciame di api che gli dilaniano il corpo sotto il pesante cappotto e la presenza fisica dell'attore Tony Todd l'hanno reso immediatamente un'icona.

Il film si basa sul racconto The Forbidden di Clive Barker (quello di Hellraiser per intenderci) e, al contrario dei suoi colleghi bianchi, la genesi di questo mostro è fortemente ancorata alla cultura black e al razzismo intrinseco degli Stati Uniti. In origine il suo nome era Daniel, figlio di uno schiavo di una piantagione di cotone in Louisiana, incredibilmente dotato per il disegno e la pittura. Al punto che un ricco proprietario terriero lo ingaggiò per dipingere un ritratto di sua figlia. I due si conobbero e si innamorarono; quando la ragazza rimase incinta, scoppiò uno scandalo: Daniel venne torturato, la mano destra (quella con cui dipingeva) gli venne tagliata con una sega arrugginita, dopodiché il suo corpo venne cosparso di miele e lasciato in pasto alle api, che lo finissero mentre i suoi aguzzini lo schernivano al grido di "Candyman!" 

Il cinema di Jordan Peele

Jordan Peele, un comico, nel 2017 decide di esordire alla regia con Scappa - Get Out: un prodotto Blumhouse, realizzato con pochi soldi e ancor meno location, ma incentrato su un'idea fortissima: il razzismo. Il protagonista è Chris, brillante ragazzo di colore, che deve incontrare la famiglia della sua innamorata Rose, bianca e ricca. Ed è terrorizzato su come reagiranno i genitori della ragazza nello scoprire il colore della sua pelle, nonostante le rassicurazioni di lei. Insomma, una critica sociale ben dichiarata e portata avanti nel corso del film in modo mai banale, al punto che Get Out divenne un piccolo caso, arrivando a collezionare 4 nomination agli Oscar (tra cui miglior film e regia) e aggiudicandosi la statuetta per Miglior sceneggiatura originale. 

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Una semplice manovra per ammorbidire le accuse di white-power dell'Academy? Forse, ma è anche vero che Get Out va a ledere un nervo scoperto dell'America contemporanea, un morbo che attanaglia gli USA da centinaia di anni e che, nonostante l'edulcorazione dei media e le numerose proteste che negli anni si sono fatte sentire a gran voce, pare ancora molto lontano dall'estinguersi. La critica sociale di Peele con il suo secondo film Us - Noi, si è fatta più generica e meno incentrata sul razzismo. Ma ora c'è gran curiosità per il già annunciato remake di Candyman, di cui è produttore, che promette sin dal trailer un'altra bella dose di denuncia sociale black. Stesso discorso per la serie tv Lovecraft Country, di cui è produttore esecutivo, che unisce horror e dosi ben marcate di razzismo nell'America rurale degli anni '50, contesto in cui nacque il Ku Klux Klan.

 

Insomma, il cinema horror negli anni ha sempre denunciato il razzismo, in vari modi e con varie chiavi di lettura, e di questo passo seguiterà ancora a lungo ad attingere dalla realtà per costruire i suoi orrori di celluloide: perché essa è molto più terrorizzante e malata di quel che possiamo immaginare.

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