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Rocky

29/03/2008 12:00

Vito Sugameli

Recensione Film, Rocky,

Rocky

Ogni sogno ha un'origine

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Ogni sogno ha un'origine. Ogni storia ha il suo scrittore. Sylvester Stallone ha creduto talmente tanto alla sua storia che convinse i producer non solo a realizzarlo, utilizzando diverse risorse economiche, ma si fece scritturare per il ruolo del pugile protagonista. Una forza di volontà da invidiare. Rocky, come film a basso costo sceneggiato dallo stesso Stallone, gli valse nel 1976 ben 9 candidature ai premi Oscar - di cui tre portate a casa: Miglior Film, Miglior Regia (John G. Avildsen), Miglior Montaggio - e portando all’ascesa un allora semisconosciuto attore squattrinato.


La storia narra di Rocky, pugile di Philadelphia cocciuto e sfortunato tanto in ambito professionale quanto nella vita privata. Un giorno il campione del mondo dei pesi massimi, Apollo Creed (Carl Weathers), lo sceglie come suo avversario. Per Creed il match rappresenta poco più di una vanitosa esibizione, ma per Rocky è la grande occasione. Mentre si prepara ad affrontare la prova, sotto lo sguardo attento del suo allenatore - un grandioso Burgess Meredith - Rocky corteggia Adriana (Talia Shire), una ragazza che nasconde sotto la timidezza un'incredibile carica di tenerezza. Man mano che l'incontro si avvicina, tra i due nasce del tenero, dando a Rocky la forza necessaria per affrontare con caparbietà l'estenuante scontro finale.


Che sia stato l'influesso sentimentale, la trama innocente o l'immagine da nobile bullo di periferia appiccicato al protagonista, resta l'inappuntabile dato di fatto: Rocky è un'icona popolare atemporale, ragionevole metafora del sogno americano - lo stesso Stallone, da scribacchino/attore avvilito in cerca di credibilità, si trasformò in divo di Hollywood dopo l'uscita del film. La sceneggiatura rielabora il concetto di antieroe senza tuttavia calcare la mano sugli aspetti negativi dell'esistenza. Al contrario, con cinismo e ironia, li rende appetibili e universali poiché l’uomo, con un po' di sano entusiasmo e un briciolo di ottimismo, è in grado di guidare la propria fortuna. La purezza della narrazione, il taglio psicologico finemente modellato sui personaggi e l'interpretazione del cast - che non sembra recitare ma vivere di reali tragedie e sconfitte - hanno permesso alla regia di Avildsen di imporsi con determinazione. Bill Conti fece il resto, traducendo in musica la sensibilità degli autori: Gonna Fly Now, traccia principale composta in una sola settimana, ricevette una nomination all'Oscar per la migliore canzone. Pellicola di successo, amata indistintamente da critica e pubblico di tutte le età, contribuì a scrivere la storia del cinema anche negli anni a venire, servendo l'assist a progetti cinematografici quali Toro Scatenato (1980) di Martin Scorsese, Alì (2001) di Michael Mann e Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood.


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