Dopo dieci anni dal successo di Rosie, Patrice Toye si è presentata alla 65^ Mostra del cinema di Venezia nella sezione dedicata alle Giornate degli autori. Tutta l’essenza del suo film è concentrata nella parola d’ordine “waomoni”, che, in una lontana lingua indigena, significa “essere umano”; è la parola che Thomas (Frank Vercruyssen) legge continuamente su una cartolina, mentre, in incognito, vola verso i Caraibi. Il gesto di gettare nel fuoco le carte di credito (scena già vista, che ha reso famoso Into the wild di Sean Penn) diventa escamotage narrativo che sblocca i personaggi dal loro torpore. Il protagonista, prototipo dell’uomo moderno annoiato, abbandona una vita “perfetta” e una moglie affascinante per la solita ricerca, tanto cara anche alla letteratura: quella libertà del sentirsi se stessi in qualche luogo. La fuga però non funziona in questo film, la solitudine non appaga; è l’ombra delle cose lasciate indietro a far tornare Thomas sui suoi passi. Come un moderno Mattia Pascal, il ritorno dalla finta morte non è immune da conseguenze e non permette di recuperare il posto occupato prima nel mondo. Thomas sarà comunque costretto a cambiare vita e troverà la stessa donna che ha lasciato e che non accetterà più un ruolo passivo. Sarà proprio Sara (Sara de Roo) a costruirgli una nuova esistenza fittizia, dove il marito dovrà accontentarsi di recitare la parte dell’amante tenuto nascosto. Anche se sembra di assistere ad una storia raccontata tante volte, il film della Toye diventa più accattivante nella seconda parte, verso un finale enigmatico e aperto all’interpretazione dello spettatore. Se nella prima metà possiamo apprezzare soprattutto Frank Vercruyssen, che sembra aver trovato la giusta espressione dell’essere umano ordinario in crisi, nella seconda domina la scena (e la vita di Thomas) Sara de Roo, nuova protagonista nei panni di una moglie che ora detta le regole del gioco. Un pò troppo lunga e senza sbocchi la sequenza nei Caraibi.