Sugli Appennini, in un casa circondata da vaste vallate, Alessandro (Luigi Fedele) e Pietro (Francesco Fedele) crescono insieme, sotto l’influsso positivo di una madre (Asia Argento) che li adora e che cerca, con il suo amore, di sopperire alla mancanza affettiva di un padre (Cesare Apolito) troppo spesso assente. I due fratelli, dai caratteri diversi ma indissolubilmente legati, passano le loro giornate inventandosi giochi sempre a contatto con la natura che li circonda. Il loro universo cambia bruscamente quando la madre muore. A quel punto, il padre, desideroso di regalare ai figli ancora un po’ di spensieratezza infantile, vende gran parte dei suoi averi per acquistare due cavalli ancora indomati – Baio e Sauro - da regalare poi ai suoi eredi, nella speranza che gli equini li aiutino a superare il dolore per la perdita della madre. Inizia così un amore profondo per i destrieri che diventano emanazioni animali dei due protagonisti. Una volta diventati adulti, i due fratelli dovranno vedersela anche con le loro aspirazioni: Alessandro (Vinicio Marchioni) vuole oltrepassare il limite degli Appennini e scoprire il mondo che si cela oltre il giardino di casa. Pietro (Michele Alhaique),invece, vuol rimanere tra gli Appennini, diventare un allevatore e sposare un giorno Veronica (Giulia Michelini), la ragazza di cui è innamorato. Presentato nella sezione Controcampo Italiano alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e tratto dall’omonimo romanzo di Pietro Grossi, Cavalli è l’opera prima di Michele Rho, regista classe 1976 che dopo alcuni cortometraggi e un film corale (Bambini), esordisce nel raccontare una storia semplice sull’affetto che lega due fratelli dall’indole diametralmente opposta, nell'Italia di fine Ottocento. Ed è proprio il contesto temporale la nota più stridente dell’intera operazione, perché mal si armonizza con gli altri elementi della diegesi filmica. La sceneggiatura – a cui ha collaborato lo stesso Rho – di Francesco Ghiaccio utilizza una terminologia contemporanea, priva di qualsiasi inflessione dialettale, cosa poco credibile in un contesto storico in cui l’Italia doveva ancora costruirsi e riconoscersi come entità unica sorretta da una sola lingua. L’altro grande problema sta proprio nella banalità di una storia che, seppur nella poeticità della sua semplicità , non offre nessun punto di vista nuovo, né tanto meno un qualche artifizio artistico che possa motivare la scelta di una storia così universale e, dunque, facilmente gestibile. Buona, al contrario, la prova istrionica offerta dal cast, troneggiato da Vinicio Marchioni, già applaudito al Lido nel 2010 per il ruolo di Amedeo Amedei in 20 Sigarette. I due protagonisti riescono a muoversi in un mondo incorrotto e perfettamente fotografato da Andrea Locatelli, con pathos e credibilità , restituendo allo spettatore l’immagine di due esseri in divenire, costretti a modificare se stessi sulla scia dei mutamenti che il destino ha riservato loro. Michele Rho è bravo a filmare il rapporto tra i due fratelli, facendo emergere in modo naturale la spontaneità che viene a instaurarsi tra Marchioni e Alhaique, sancendo così il loro talento.