Il baseball è uno sport che in Italia non ha una folta schiera di estimatori, ma negli Stati Uniti è una vera e propria istituzione: vive dei propri miti, delle proprie leggende e soprattutto delle proprie regole. Una di queste è comune a tanti sport e vuole che le squadre che possono spendere un budget maggiore siano le principali candidate alla vittoria finale. Questa legge apparentemente inattaccabile è l’ossessione di Billy Beane (Brad Pitt), General Manager degli Oakland’s Athletics, che ha intenzione di attuare una vera rivoluzione: con l’aiuto del giovane analista Peter Brand (Jonah Hill) e il ricorso ad un sistema di studio delle statistiche che permetta di evidenziare il potenziale nascosto dei giocatori, Billy imposterà la sua squadra secondo nuovi criteri, dimostrando che è possibile ottenere grandi risultati pur non avendo a disposizione budget multimilionari. La sua avventura non sarà facile: avversato da tutti i colleghi anziani, inascoltato dal coach Howe (Philip Seymour Hoffman) e per questo in crisi dopo la prima fase della stagione, Billy dovrà prendere decisioni estreme per far sì che il suo progetto possa decollare. Basato su una storia vera, quella della stagione 2002 della Major League che vide gli A’s sorprendere gli appassionati con le loro vittorie, L’arte di vincere di Bennett Miller rispetta i canoni del classico film americano sullo sport, una storia di coraggio e sacrificio in cui lo spirito di frontiera trova la propria re-interpretazione nella sfida ai limiti imposti dallo status quo. Malgrado questo, il film di Miller si differenzia dalla media dei film dedicati a discipline sportive, perché il focus non è direttamente posto sulla competizione, quanto piuttosto sul lavoro manageriale che sta dietro alla gestione della squadra. In qualche modo, sebbene faccia riferimento a figure professionali diverse, il film ricorda Jerry Maguire di Crowe, sia per la scelta di raccontare una storia e un personaggio apparentemente di contorno rispetto allo sport cui fa riferimento, sia per una certa attenzione alla vita privata del protagonista, che in questo caso però presenta un approccio più diretto a dar ragione di alcuni comportamenti del protagonista, piuttosto che rappresentare una specifica traccia narrativa. Il film, per quanto lungo, scorre piuttosto agevolmente e riesce a coinvolgere e divertire, basando molta della sua efficacia sulla costruzione e gestione dei rapporti fra i personaggi, in particolare fra Billy e Peter, e sulla forza della convinzione che una buona idea possa cambiare anche la più radicata delle convenzioni. Candidato all’Oscar per questa interpretazione, Brad Pitt in realtà non fa né più né meno del dovuto: il suo Billy Beane è un protagonista convincente, con il quale si empatizza facilmente, ma non presenta particolari guizzi. Anche gli altri attori sono credibili nei rispettivi ruoli, con un Hoffman, sapientemente invecchiato e “imburberito”, perfetto nel ruolo del coach vecchio stile, e un Jonah Hill che si conferma ottimo attore e perfetta spalla per Pitt. Efficace il lavoro del compositore Mychael Danna, che in particolare sottolinea i momenti di tensione sul campo con una giusta alternanza di musiche e silenzi. Complessivamente un film apprezzabile, che soddisferà quanti amano il genere, ma non mancherà di farsi apprezzare anche da quanti non sono particolarmente interessati alle pellicole dedicate allo sport.