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Hugo Cabret

27/01/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Hugo Cabret

Hugo Cabret (Asa Butterfield) è un ragazzo rimasto orfano che vive nella stazione di Parigi, dopo essere stato abbandonato dallo zio Claude (Ray Winstone) che a

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Hugo Cabret (Asa Butterfield) è un ragazzo rimasto orfano che vive nella stazione di Parigi, dopo essere stato abbandonato dallo zio Claude (Ray Winstone) che aveva il compito di prendersi cura di lui, dopo la prematura dipartita del padre (Jude Law), morto in un incendio. Dal padre, Hugo ha ereditato la passione e il talento per riparare oggetti meccanici; lo zio, al contrario, gli ha lasciato la responsabilità di ricaricare gli orologi della stazione. Il vero lavoro del ragazzo, tuttavia, è cercare di riportare alla vita un vecchio automa capace di scrivere, che suo padre aveva trovato abbandonato nel museo in cui lavorava. Per raggiungere questo scopo, Hugo entra in contatto con Georges, il proprietario di un negozio di giocattoli (Ben Kingsley), che lo accusa di essere un ladro e che gli porta via tutti i suoi ingranaggi e il prezioso taccuino del padre. Nel tentativo di riaverlo, Hugo farà amicizia con Isabelle (Chloë Grace Moretz), la figlia adottiva di Georges: la giovane lo aiuterà a capire il segreto che si cela dietro l’automa, in un’avventura dalle mille emozioni.


Tratta dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick (edito in Italia da Mondadori), l'ultima opera di Martin Scorsese è un viaggio magico e commovente alle origini della storia del cinema; più di tutto, infatti, la pellicola è un omaggio sincero e pieno di affetto a Georges Méliès, che fu tra i primi a capire e sfruttare le potenzialità del cinematografo e del montaggio di fotogrammi, creando un «sogno, senza bisogno di chiudere gli occhi». “Accusato” di ricorrere ad una diegesi il cui unico scopo sembra quello di allargare il target di riferimento, Scorsese risponde a tono, proponendo un film che pone al centro della narrazione il senso di meraviglia che accompagna ogni fruizione artistica, e in special modo quella cinematografica. Nella lunga sequenza in cui l’ottimo Kingsley ricorda il suo passato da regista e artista di successo, diventa quasi possibile toccare concretamente quella fabbrica dei sogni che incanta da più di un secolo. Un po’ come avveniva con Super 8, Hugo Cabret è un omaggio melanconico a un periodo remoto, che sembra porre le proprie radici nel regno della leggenda. Nostalgia che si avverte anche a partire dalla colonna sonora curata da Howard Shore, che segue tutto il dispiegarsi della vicenda con un tono fiabesco, accompagnando le immagini rarefatte di una stazione mai così affascinante, anche grazie all’uso di un 3D sempre funzionale.


Al contempo, però, Hugo Cabret può essere visto come una sorta di bildungsroman, un sentiero accidentato di avventure che spinge il protagonista a realizzarsi come essere umano, e ad imporre la propria, personale, individualità. «Tutti hanno uno scopo», dice il bambino, guardando dall’alto il profilo di una Parigi quasi irreale; i centoventicinque minuti di durata, allora, diventano il terreno fertile in cui Hugo può scoprire il suo scopo, ritagliandosi così un piccolo spazio in cui vivere, in un mondo che sembra averlo dimenticato. Nonostante i chiari rimandi all’universo creato da Charles Dickens nel suo Oliver Twist, Hugo sembra avvicinarsi più a quei personaggi tra due mondi che popolano il mondo fantastico di grandi registi come Hayao Miyazaki e Tim Burton. Proprio a quest’ultimo Hugo sembra rivolgersi nelle ampie inquadrature che svelano la meravigliosa scenografia curata dal Premio Oscar Dante Ferretti (Sweeney Todd). Ma l’elemento che, più di tutti, emerge dall’avvolgente regia di Scorsese è l’amore incondizionato del regista per la settima arte. In ogni fotogramma – e in particolar modo nella scena in cui i lavori di Méliès vengono sottratti all’oblio – è possibile notare i tratti comuni del regista col suo piccolo protagonista. Il senso di meraviglia che riempie gli occhi di Hugo e Isabelle quando si intrufolano nel cinema è lo stesso dello Scorsese bambino, condotto al cinema dal padre per sanare l’impossibilità di giocare all’aperto che l'asma gli imponeva. Ricco di un cast in stato di grazia, Hugo Cabret si fa forte della sceneggiatura di John Logan che, se da una parte ha avuto un compito semplificato dalla struttura del meraviglioso libro di Selznick, dall’altra accresce lo splendore della pellicola, aggiungendo una serie di personaggi secondari sui cui spicca il personaggio dell’Ispettore Ferroviario, interpretato da Sacha Baron Cohen, un orfano pieno di risentimento per il suo destino di solitudine, con un tutore alla gamba che accentua la comicità dei suoi movimenti. Commovente e divertente, il nuovo film di Scorsese è un capolavoro capace di indirizzarsi ad un pubblico vasto e eterogeneo, che abbraccia ogni fascia d’età e ogni tipologia di essere umano. Provare per credere.


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