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Case depart

24/03/2012 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Case depart

I due fratellastri Regis (Fabrice Eboué) e Joel (Thomas N'Gijol) non potrebbero essere più diversi: il primo, meticcio di successo con moglie e figlia, adora la

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I due fratellastri Regis (Fabrice Eboué) e Joel (Thomas N'Gijol) non potrebbero essere più diversi: il primo, meticcio di successo con moglie e figlia, adora la Francia, il secondo, disoccupato, è appena uscito di prigione dove era stato rinchiuso dopo una rissa. Frequentatisi pochissimo in passato, i due sono richiamati nelle Indie Occidentali al capezzale del padre morente. Furiosi con il genitore da sempre assente, che ha condotto una vita dissoluta con molti matrimoni e figli sparsi per il paese, i due fratelli strappano noncuranti il documento col quale i loro antenati ebbero la libertà dalla schiavitù molti secoli prima. In seguito a questo gesto l’incantesimo di una zia li catapulta nelle Antille, nel 1780, condotti in schiavitù. Tra gag irresistibili e situazioni comiche, i due protagonisti faranno di tutto pur di tornare nella propria epoca.


Il cinema africano con Case départ non solo si dimostra in grado di affrontare la più difficile delle prove, quella di far ridere il pubblico, ma lo fa con una tale maestria e padronanza degli strumenti da rivelarsi una piacevole scoperta. Nonostante il drammatico scenario - le Antille di fine ‘700 durante la schiavitù, tema di cui il cinema si è già appropriato a sufficienza – la storia risulta a dir poco esilarante. I due protagonisti si esibiscono in gag estrose, mai volgari, che portano ad una riflessione giocosa ma seria sulla schiavitù. Certo, in alcuni momenti il film si incastra su situazioni comiche ripetitive la cui durata rischia di superare quella umoristica e sfociare nella meccanicità di gag già viste; inoltre il potenziale di alcuni elementi – come l’umorismo sulle idee rivoluzionarie o le occasioni di contrasto bianchi/neri – poteva essere maggiormente sfruttato. Ma se i precedenti di pellicole in grado di far ridere delle tragedie della storia sono innumerevoli, sdrammatizzare sul tema della tratta degli schiavi è quasi un unicum. Una novità in grado di sollevare l’occidente e il mondo africano da un peso, sia che si tratti della responsabilità storica sia dell’incapacità di costruire una vera memoria del passato.


"Case départ" in francese significa punto di partenza, ed è la scritta che si trova sulla prima casella dei giochi da tavolo. Nel film qualsiasi forma di condanna è bandita, piuttosto quello che interessa al regista – lo stesso protagonista Fabrice Eboué - è il tentativo di presentare la situazione su presupposti del tutto irreali e inverosimili: un passato riproposto per essere affrontato. I due protagonisti infatti, puniti per la loro indifferenza e ignoranza, sono rigettati nell’epoca della tratta e sono costretti a viverla sulla propria pelle. Un’esagerazione questa che offre lo snodo e l’espediente comico alla vicenda, ma che è anche la metafora di un passato che non è mai del tutto trascorso. Così come è successo con il caso cinematografico di Quasi amici, anche in Case départ a dirigere e interpretare il film sono alcuni dei protagonisti dei cosiddetti “immigrati di seconda generazione”, francesi di lingua, cultura e formazione, ma africani di origine. Caratteristica di queste pellicole è quella di proporre attori usciti dal circuito comico. Fabrice Ebouè, regista e protagonista del film, è infatti comico e cabarettista di successo, qui al suo lungometraggio d’esordio. Mentre in Italia faticheremo a trovarlo in distribuzione, in Francia la pellicola ha già fatto quasi 2 milioni di spettatori.


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