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Margin Call

12/05/2012 11:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

Margin Call

Distribuito da 01 Distribution, arriva in Italia Margin Call, descritto dal prestigioso The New Yorker come “il più bel film su Wall Street mai girato”...

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Distribuito da 01 Distribution, arriva in Italia Margin Call, descritto dal prestigioso The New Yorker come “il più bel film su Wall Street mai girato”. Si tratta di un thriller ambientato ai piani più alti (fisicamente e simbolicamente) della finanza americana e mondiale, nelle 36 ore che precedono il terribile crac finanziario del 2008.


Una grande azienda di servizi finanziari subisce la consueta serie di tagli tra i dipendenti: tra questi, il capo del Settore Analisi di Rischio Eric Dale (Stanley Tucci), prima di liberare l’ufficio, lascia una pendrive con alcuni dati da completare al giovane analista Peter Sullivan (Zachary Quinto). Il risultato del lavoro di Peter è sconcertante: se la società non venderà a prezzi stracciati la maggior parte dei suoi assets nel giro di 24 ore, le perdite saranno superiori all’intera quotazione di mercato della società, ma se lo faranno innescheranno un meccanismo perverso che farà crollare lentamente l’economia mondiale distruggendo la vita di migliaia di persone. Assieme al collega Seth Bregman (Penn Badgley) e al loro caporeparto Will Emerson (Paul Bettany), Peter mette in moto il piano di emergenza contattando uno ad uno i boss della compagnia. La decisione finale si abbatterà come uno tsunami sull’economia e sulla Società, ma salverà posto e conto in banca dei pezzi grossi.


Per il suo esordio cinematografico J.C. Chandor sceglie un tema complesso ed estremamente delicato: affidandosi ad ex operatori del settore e ai quarant'anni di lavoro del padre alla Merrill Lynch, Chandor ricostruisce scrupolosamente il mondo dei colossi della finanza basandosi, pur senza citarla, sulla Lehman Brothers. Il risultato è sconcertante: analisti giovanissimi senza alcuna esperienza di vita che si trovano a gestire all’improvviso stipendi esagerati ma con l’incubo del licenziamento che li segue come un’ombra, glabri manager ultramilionari che operano come squali ma con le spalle perennemente coperte, altri totalmente privi di competenze specifiche. L’unico ideale è il profitto, gli scrupoli indeboliscono, l’esitazione uccide: è come se il potenziale deflagrante in questione non venga mai compreso fino in fondo. Per tutto l’arco della pellicola si ha la sgradevole sensazione che il destino del mondo sia in mano a un’oligarchia che vive a migliaia di chilometri di distanza dalle persone normali, in una torre d’avorio perfettamente rappresentata dall’enorme grattacielo che ospita la Compagnia. In questo palcoscenico si muove un cast, nonostante il basso budget, davvero stellare e che, con una prestazione di altissimo livello, rappresenta uno dei punti di forza del film. Candor scommette deciso sugli attori, puntando la lente d’ingrandimento sulle diverse personalità, gli scrupoli, i timori, le ansie, le certezze e le paure dei protagonisti, la componente umana che si cela dietro la colossale piovra di Wall Street. Il risultato è un graffiante ritratto del capitalismo sfrenato che parte dai grattacieli della Grande Mela per arrivare a ogni singolo abitante del pianeta, fino ai più piccoli, instabili residui della società civile.


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