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C'era una volta in Anatolia

03/06/2012 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

C'era una volta in Anatolia

l quarto film del pluripremiato regista turco Nuri Bilge Ceylan è un romanzo per il grande schermo

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Guidati da un presunto assassino attraverso i luoghi in cui ammette di aver sepolto la propria vittima, un commissario di polizia (Yilmaz Erdogan), un procuratore (Taner Birsel) e un medico (Muhammet Uzuner), compiono un viaggio di una notte attraverso l’Anatolia per trovare il cadavere, portarlo all’obitorio e procedere al riconoscimento e all’autopsia. Nel corso di questo viaggio, tra incontri e confidenze, i tre protagonisti scopriranno ognuno il vero volto dell’altro.


Il quarto film del pluripremiato regista turco Nuri Bilge Ceylan è un romanzo per il grande schermo, l'affresco on the road di una terra sconfinata attraverso il ritratto di tre personaggi legati da un omicidio. A fare da guida attraverso i luoghi del delitto, e fra quelli dell’anima dei protagonisti, è lo stesso sospettato dell’assassinio al quale vengono affidate le redini della narrazione. Un giallo al contrario, dove viene ribaltato lo schema classico del genere e il responsabile del delitto, come il delitto stesso, diventano semplicemente il pretesto che consente ai tre uomini di compiere il loro viaggio notturno. Un film sceneggiato dallo stesso regista e della moglie Ebru, sul modello dei drammi del teatro russo che da sempre fanno loro da ispirazione. Tre capitoli, un solo viaggio per cornice e un racconto da collante: quello della donna che predisse la propria morte e morì il giorno esatto da lei preannunciato.


L'opera di Nuri Bilge Ceylan è una storia semplice, intimamente intrecciata, di tre uomini che scoprono e comprendono la morte, durante un viaggio attraverso una terra sterminata e meravigliosa. E se è vero che il viaggio è un topos, allora il film di Ceylan è una pellicola archetipica, come un romanzo di formazione o un dialogo filosofico. È una dissertazione sul bene, sul male e su tutti coloro che nella scoperta di essi, vi vengono trascinati all’interno senza più scorgere distinzione tra l’uno e l’altro. Persino allo spettatore occorre tutto il corposo metraggio del film per orientarsi in mezzo ai paesaggi della rude Anatolia - uguali per chilometri e chilometri - e all’intenso intreccio di personaggi: protagonisti e comprimari, Uzuner, Erdogan, Birsel, Taylan, Tanis, Kesel, tutti ugualmente eccezionali e necessari, si mostreranno per quello che realmente sono nel corso della vicenda. In questo schema teatrale, è la fotografia nitida e spiazzante di Gökhan Tiryaki - documentarista ultra premiato dai festival di tutto il mondo - a ricordare, qualora ce ne fosse bisogno, come il cinema valichi i limiti del palcoscenico. Dopo avergli già assegnato il Grand Prix nel 2003 con l’autobiografico Uzak – Lontano, la giuria del Festival di Cannes ribadisce, con il premio nel 2011, il proprio sconfinato amore per il regista turco.


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