Alea iacta est, locuzione latina tradotta in italiano con “Il dado è tratto” e in francese con "Le rouge est mis" - pronunciata dai croupiers sul tavolo della roulette -, viene utilizzata per indicare l’irrevocabilità di una decisione presa. Gilles Grangier, facendo forza sull’incisività del motto, lo utilizza come titolo per la sua celebre pellicola del 1957. Louis Bertain (Jean Gabin) è uno stimato garagista che, di nascosto, organizza fruttuose rapine a scapito di ricchi imprenditori del posto. Insieme a Pepito (Jean-Pierre Mocky), Fredo (Paul Frankeur) e Raymond (Jean Bérard), l’uomo gestisce una vera e propria banda criminale, disposta a uccidere chiunque per farla franca. L’ultimo colpo, però, miete più vittime del previsto, Raymond viene ucciso e Louise arrestato. Pepito, riuscito a mettersi in salvo, è convinto che sia stato Pierre (Marcel Bozzuffi), il fratello minore di Louis, a confessare la verità alla polizia perché la sera precedente lo aveva scoperto ad ascoltare involontariamente una sua conversazione. Preoccupato per la sorte di Pierre, Louis fugge dal carcere per fermare il malintenzionato. Il bianco e nero, inquadrature statiche e montaggio armonico sono i tratti distintivi di una pellicola che, vantando la magistrale performance di attori del calibro di Gabin e Annie Girardot, possiede tutte le caratteristiche del cinema classico di genere. I numerosi sotterfugi, le fughe rocambolesche e le violente sparatorie non scalfiscono minimamente l'amore fraterno sincero e leale dei protagonisti. Il sentimento che lega Louis a Pierre porta il primo ad essere estremamente protettivo nei confronti del secondo, e l’altro a nutrire quel timore reverenziale che, normalmente, si prova per un padre. Nessuna cifra monetaria e nessun colpo gobbo riesce, dunque, a convincere l’uno a rinunciare all’altro, anche a costo di rimetterci la pelle. Il dado è tratto si rivela subito come una sorta di romanzo di formazione vestito da gangster movie in cui ogni fotogramma racchiude un sottile velo di humor nero dal sapore agrodolce. Grangier, abile direttore d’orchestra, fa uso di scavalcamenti di campi e di immagini riflesse su superfici a specchio per mostrare il doppio volto di una realtà apparentemente normale. Una tranquilla cittadina, una carriera avviata e uomini rispettabili che, sotto mentite spoglie, consumano la loro monotona esistenza quotidiana. Utilizzando le frenetiche musiche di Denis Kieffer, le azioni dei personaggi prendono vigore, scorrono vorticosamente e, infine, si ripiegano su se stesse. Ogni scelta, infatti, comporta delle conseguenze e quando il dado, ormai, è tratto, non resta che fare i conti con la propria coscienza.