
Diciamolo fin da subito: L'amore nascosto va a collocarsi in quella nutrita schiera di film che sembrano esistere solo per indispettire il critico. Di quei film, insomma, durante i quali anima e spirito del cronista di turno cominciano, più o meno a metà visione, a temere il duro confronto con la redazione del testo e con gli inevitabili tentativi di contorsionismo retorico o di malcelato riciclo che ne conseguiranno. Perché, appunto, dinanzi a film simili ci risulta difficile non apparire autoreferenziali, o non utilizzare per l'ennesima volta espressioni che da tempo abbiamo scoperto essere funzionali nel descrivere film che, pur dimostrandosi differenti tra loro per trama e contenuti, finiscono per generare, nel pubblico come nella critica, la medesima, blanda massa uniforme di giudizi privi di qualsivoglia entusiasmo, sia esso positivo o negativo. La trama può essere risolta in poche righe. Danielle (Isabelle Huppert), dopo reiterati tentativi di suicidio, viene ricoverata in una clinica. Attraverso verbosissime sedute psicologiche o lunghi flash-back pedantemente virati in bianco e nero, scopriamo che i problemi della donna fanno in toto riferimento alla figura della figlia Sophie (Mélanie Laurent), nei confronti della quale Danielle, che vede nella ragazza il simbolo in carne ed ossa della propria incapacità di dare agli eventi più importanti della sua vita la piega desiderata, cova un odio indefinibile e, per certi versi, indecifrabile. Quale potrà essere, dunque, la misura di un odio così particolare? Quanto possono essere labili i confini di siffatto odio con quelli dell'amore (rifacendoci al titolo)? Dove può essere trovato l'amore nella vita della protagonista? o della figlia? o, ancora, della stessa psicologa (Greta Scacchi) che ha in cura Danielle? Tutti interrogativi, questi, attorno ai quali il film, piuttosto che indagare, ciondola pigramente per i suoi quasi cento minuti di durata, facendo affidamento, piuttosto che sullo scavo dei personaggi, a stereotipati tocchi auteur-iali che, pur abbassando oltre i livelli di guardia cinismo e malizia, non possono che apparire clamorosamente fuori tempo. Non c'è progressione drammaturgica, non c'è - se si va ad escludere il finale, comunque frettoloso e, giunti a quel punto, sin troppo sbrigativo - un'apprezzabile evoluzione dei personaggi, non c'è, per farla breve, il coraggio di uscire dai confini di quell'autorialismo posticcio che demanda detti incarichi ai rintocchi di pianoforte di una colonna sonora (Lawrence Butch Morris e Riccardo Fassi) bella ma sovrautilizzata e alle prevedibili prestazioni monstre del cast, Huppert su tutti. Non dubitiamo che una piccola parte del pubblico o della critica potrà apprezzare le aspirazioni intimiste di L'amore nascosto. Per quanto ci riguarda, purtroppo, il film dell'esordiente Alessandro Capone concentra in sé molti dei peggiori difetti che si vogliono propri del cinema europeo: diretto in modo piatto, inutilmente leccato e sottolineato, vanamente intellettuale e, soprattutto, mortalmente noioso.