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La Nave Dolce

07/11/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

La Nave Dolce

Dopo aver tratteggiato il profilo infame di una delle pagine più vergognose della storia contemporanea del nostro paese, Daniele Vicari torna al cinema con l'in

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Dopo aver tratteggiato il profilo infame di una delle pagine più vergognose della storia contemporanea del nostro paese, Daniele Vicari torna al cinema con l'invariata voglia di scendere nel sottotesto sociale dell'Italia, scandagliano luci e ombre di grande attualità. Il documentario La Nave Dolce ripercorre il più grande sbarco di immigrati albanesi nel nostro paese, in una mattina d'agosto del 1991, nel porto di Bari.


Al centro della narrazione c'è la nave Vlora (nome albanese per Valona), che Vicari nel titolo definisce dolce per via della sua vecchia funzione di traffico di zucchero. Un piccolo centro d'umanità in fuga che intravede in essa la possibilità per un futuro migliore. Al coro di "Italia!Italia!", Daniele Vicari segue le vicende di questi immigrati che riuscirono, da soli, a cambiare il volto del bel paese per quel che riguarda l'immigrazione. Una realtà che al giorno d'oggi è ben conosciuta, ma che allora rappresentava solo il primo spauracchio di un problema che, a più di vent'anni di distanza, è lungi dall'essere risolto. Con maestria, Vicari dipinge un affresco veritiero e in qualche modo disarmante di questi esseri umani in fuga, piccoli sognatori colpevoli di aver cercato una scappatoia da una realtà resa invivibile dalla guerra.


Il regista di Diaz parte dall'attracco della nave a Durazzo, dove arrivò carica di zucchero dopo essere partita da Cuba. Una nave che, negli occhi dei migliaia di esseri umani rappresentò una possibilità di sopravvivenza. Con riprese ben studiate e coinvolgenti Vicari registra l'attacco della folla, la rabbia impetuosa di un numero imprecisato di uomini che usò la forza della propria disperazione per impossessarsi dell'imbarcazione che ben presto fu costretta a prendere il largo verso l'Italia. Un piccolo luogo di sopravvivenza che ben presto si trasforma in un ramo infernale: stipata oltre ogni umana decenza, priva di acqua e di cibo sufficiente a sostenere tutti i naufraghi, la Vlora, con il suo motore in avaria, diventa il simbolo di un'umanità spezzata, privata delle proprie origini e quindi impossibilitata ad andare avanti. Un miscuglio di corpi indefiniti, una macchia scura nel panorama sociale, che infama e spaventa. Tutto questo, e molto di più viene raccontato con la solita sagacia di chi si vota alla verità, decidendo di non nascondersi dietro alcun escamotage. Unendo la sua tecnica a immagini di repertorio che ripercorrorono quella lunga giornata pugliese, Vicari riesce a parlare ad una comunità sociale ormai quasi esacerbata dalle continue immagini televisive di profughi e disperati pronti a rischiare la vita stessa piuttosto che arrendersi. Attraverso le interviste di coloro che erano presenti quel lontano 8 Agosto - compreso il ballerino televisivo Kledi Kadiu - emerge un'iperbole di questa malsana avventura. La Nave Dolce offre al regista un'altra occasione per puntare il dito contro un sistema istituzionale che sembra perennemente incapace di fronteggiare situazioni che esulino dal lento dispiegarsi della routine. E, proprio come avveniva con Diaz, fa di nuovo centro.


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