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Grandi Speranze

30/11/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Grandi Speranze

Pip è un bambino rimasto orfano che vive nella palude insieme alla sorella e al cognato Joe (Jason Flemyng)...

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Pip è un bambino rimasto orfano che vive nella palude insieme alla sorella e al cognato Joe (Jason Flemyng). Un giorno, mentre è in visita sulla tomba dei genitori, il ragazzino si imbatte in un detenuto (Ralph Fiennes) che gli chiede del cibo e una lima per liberarsi dalle catene che lo costringono. Un anno dopo, Pip viene assunto dalla misteriosa signora Havisham (Helena Bonham Carter), ricca nobildonna che dopo essere stata abbandonata all’altare ha deciso di rinchiudersi nella propria casa, con indosso l'abito nuziale. All’interno della grande casa, Pip incontra Estella, una coetanea della quale si innamora e che lo spinge a desiderare di diventare un gentiluomo. Miss Havisham, tuttavia, è di diverso avviso. Manda via il ragazzo che, strappato dalla sua amata, diventa l’apprendista fabbro nella fucina di Joe. Passano gli anni e Pip (Jeremy Irvine) scopre di essere stato “adottato” come pupillo da un ricco mecenate che desidera però rimanere anonimo. Con la somma che gli viene concessa, e supervisionato dall’avvocato Jaggers (Robbie Coltrane) il ragazzo parte alla volta di Londra per cominciare i suoi studi come gentiluomo, in attesa che Estella (Holliday Grainger) torni dal suo viaggio in Europa. Quando, però, Pip scopre da dove arrivano i suoi sostentamenti, tutta la sua vita e le persone che la circondano vengono messe in discussione.


Era da circa sessant’anni che il cinema non si misurava con una trasposizione fedele di quella che è considerata una delle opere più importanti non solo di Charles Dickens, ma dell’intera letteratura mondiale. Storia di grandi ambizioni e di personaggi borderline, Grandi Speranze ha il merito di mettere in gioco potenti temi universalmente riconoscibili: dalla lotta tra le classi alla corruzione, dal desiderio di creare una famiglia all’amore più crudele. Con un tale bagaglio di potenzialità drammaturgiche non è difficile capire come mai l'opera abbia solleticato la fantasia dello sceneggiatore David Nicholls prima, e di Mike Newell poi. Il regista mette in scena uno spettacolo dai dettagli curatissimi, su cui spicca soprattutto l’attenzione alla ricostruzione dell’epoca, in un habitat diviso tra i colori accesi ma freddi di una palude e la fuligginosa Londra, piena di angoli bui e umidi. Una spaccatura, questa, che ben si rispecchia nella costruzione psicologica del protagonista, costretto a rinnegare le proprie origini e la propria identità per ambire a diventare degno dell’amore di Estella, algida musa dal cuore di ghiaccio. La storia d’amore tra i due protagonisti, vero fulcro emotivo del romanzo, tuttavia, viene trattato con la stessa freddezza che sembra caratterizzare sia Estella che la sua madre adottiva, Miss Havisham. Ed è proprio questo il più grande problema di Grandi speranze: nonostante la messa in scena regale e attenta, e una regia che non si nasconde dietro descrittivi campi lunghi, il film di Newell appare imperdonabilmente privo d’anima. Lo spettatore non riesce mai ad entrare del tutto nel racconto, e i dolori e gli struggimenti dei personaggi sembrano solo manierismi patetici, incapaci come sono di risvegliare l'empatia del pubblico.


Rimane una monumentale messa in scena dai toni epici che, proprio nel suo ambire alla perfezione mostra tutte le sue lacune e le mancanze rispetto al romanzo. Non aiuta a risollevare lo spirito della pellicola il grande apporto dato dal cast, soprattutto da quei due personaggi che nella loro miserevole esistenza hanno il merito di permettere alla storia di avanzare. Helena Bonham Carter, in una versione live-action de La sposa cadavere, è una donna tradita da quello che credeva essere l’amore della sua vita e anche dalle sue stesse ambizioni. Patologicamente incapace di superare il lutto per la donna che sognava di diventare, Miss Havisham è al tempo stesso anche un’egocentrica civetta, che vuole tutte le attenzioni su di sé. Il suo destino, miserabile e disturbante, è uno dei pochi elementi del film che riescono a catturare davvero lo spettatore, insieme a Magwitch (Fiennes), personaggio tra i più disastrati dell’intera bibliografia di Dickens che Newell riesce a mettere in scena alla perfezione, grazie all’ormai noto talento dell’attore. Tra questi due poli di disperazione, Grandi Speranze si dispiega lento e incompleto, incapace di restituire nello spettacolo cinematografico il mondo vergato dalla penna di Dickens.


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