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Una pistola en cada mano

11/12/2012 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Una pistola en cada mano

Impietoso ritratto ad episodi di un irresistibile gruppo di otto uomini in crisi: in analisi, abbandonati dalle mogli, tormentati dalle madri e legati da un’ami

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Impietoso ritratto ad episodi di un irresistibile gruppo di otto uomini in crisi: in analisi, abbandonati dalle mogli, tormentati dalle madri e legati da un’amicizia virile che rivela in tutte le sue falle i rapporti maschili, ad iniziare dall’incapacità di comunicare emozioni e sentimenti fino alla difficoltà ad affrontare di petto le situazioni problematiche.


Tutto su mia madre in versione maschile. Cesc Gay, a dodici anni di distanza dall’acclamato esordio Krámpack, ritorna con un film che recupera l’umorismo della prima opera ma sostituisce l’ingenua leggerezza della giovinezza con situazioni problematiche e dissidi interiori, dominati dalla psicoanalisi e delle nevrosi maschili. Soggetto di quest’opera sprezzante sono otto uomini “sull’orlo di una crisi di nervi”, che vivono con una pistola per mano, protagonisti in coppia degli episodi che compongono il film, situazioni tragicomiche che conducono alla paralisi sentimentale e alla disperazione più nera. Cesc Gay inscena una commedia almodovariana demolitrice della virilità e della tradizionale visione dell’eroe romantico o macho che sia, incrinando la leggenda che la razionalità sia maschile e l’isteria donna. E lo fa con una struttura episodica, brillante e ben diretta, con ogni capitolo che inizia in medias res, da situazioni casuali – l’incontro fra due amici, il tentativo di conquistare una giovane collega o di riconquistare l'ex moglie, l’appuntamento con l’amante di lei - e che terminano in una reunion dei protagonisti, secondo uno schema lineare e godibile, dominato da un’atmosfera pessimista che impedisce al film di cadere nel banale.


Un film impietoso, che ribalta le parti nell’antica suddivisione fra sesso forte e debole. I protagonisti del film vengono identificati solo con delle iniziali, come si trattasse di un manuale di psicoanalisi in cui i soggetti presentati sono solo esempi di una variopinta casistica di paure e insicurezze messe alla berlina senza mezzi termini. Al contrario, alle donne sono invece attribuiti nomi completi, e pochissimo risalto, presentate come controparte in relazioni problematiche, sicure e sempre a proprio agio. E nella visione oppositiva tra uomo e donna risiede forse l’unico difetto del film. Tuttavia a far sì che la pellicola non sprofondi nello stereotipo della negazione della mascolinità c’è – oltre all’appartenenza dello stesso regista al genere preso di mira – la cura maniacale per i dialoghi e l’acutezza delle situazioni, poggiate con fiducia sulle spalle di un ottimo cast: volti noti della cinematografia spagnola come Ricardo Darin o Eduardo Noriega, insieme ad attori meno conosciuti, ma comunque validi. Gay dirige gli episodi imprimendovi – in collaborazione con Tomàs Aragay, attore, coreografo e sceneggiatore teatrale – una forte impostazione scenica e concependoli come i cinque canonici “atti” (più un epilogo) di un’opera unica. Non una tragicommedia né una farsa, solo il racconto umoristico e amaro del tramonto del mito dell’infallibilità maschile.


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