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Educazione siberiana

23/02/2013 11:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

Educazione siberiana

Se c'è un rilievo che sicuramente non può essere mosso a Gabriele Salvatores è quello di essere rimasto fermo agli schemi che lo hanno portato al successo...

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Se c'è un rilievo che sicuramente non può essere mosso a Gabriele Salvatores è quello di essere rimasto fermo agli schemi che lo hanno portato al successo. Sono passati ventidue anni dall'Oscar di Mediterraneo e il regista di origini napoletane ha sempre esplorato territori nuovi e diversi tra loro: dalla fantascienza cyberpunk di Nirvana al thriller Io Non Ho Paura, dal noir di Quo Vadis, Baby? fino alla commedia Happy Family. Insomma, la staticità che assale gran parte dei registi italiani, in lui non sembra assolutamente albergare. Per il suo nuovo lavoro sposa, tramite la revisione in sede di sceneggiatura di Stefano Rulli, Sandro Petraglia e dallo stesso Salvatores, il fortunato romanzo Educazione Siberiana di Nicolai Linin, scrittore russo da anni trapiantato in Italia. Tralasciando le numerose critiche ricevute dall'autore per aver parecchio romanzato molti avvenimenti supposti come autobiografici all'interno del libro, non c'è dubbio che la storia mantenga una propria intrinseca forza.


La vicenda si svolge in Transnistria, una regione dell'ex URSS ora politicamente appartenente alla Moldavia, e dichiaratasi unilateralmente autonoma senza alcun riconoscimento internazionale. Secondo la criticata ricostruzione di Linin, la Transnistria era stata per anni meta di purghe staliniane e luogo di confine per un enorme numero di criminali di origine siberiana. Questi criminali costituivano un vero e proprio popolo, chiamato Urka che viveva secondo usi e costumi propri, regolati da un'etica singolare ed inflessibile. Per gli Urka è lecito rubare a poliziotti, soldati, politici e usurai, mentre i poveri non vanno molestati in alcun modo; le armi da fuoco non vanno usate in casa e i soldi rappresentano la peste portata dal capitalismo, così come gli alcolici e la droga, che non vanno assolutamente usati. Nella comunità guidata da nonno Kuzya (John Malkovich), crescono come fratelli i piccoli Kolyma e Gagarin. Arrestato per un tentato furto, Gagarin (Vilius Tumalavicius) torna dopo sette anni di prigione ribellandosi alle rigide convenzioni della comunità, comportandosi come un lupo solitario. La sua strada si separa completamente da quella battuta da Kolyma (Arnas Federavicius) che anni dopo, arruolatosi nell'esercito russo, tenterà in tutti i modi di raggiungere il vecchio amico.


Salvatores prova a fondere una saga epico-generazionale sulla falsariga dei grandi western con l'impalcatura di questa Gomorra siberiana, in cui le regole sono create da chi vive eternamente al di fuori delle leggi dell'ordine costituito. Non è difficile scovare nel lavoro del regista italiano echi de La Promessa dell'Assassino di Cronenberg, interiormente nell'etica sui generis che regola i comportamenti dei protagonisti, ed esteriormente (le scene nella sauna) nei corpi tatuati fino a ricoprire ogni centimetro di pelle. Ma se gli aghi utilizzati per i tatuaggi penetrano sotto pelle per rilasciare l'inchiostro, il limite del film sta proprio in una certa superficialità di fondo che lascia l'amaro in bocca allo spettatore che non riesce mai a sentirsi totalmente coinvolto nella storia. Troppa carne al fuoco e la carica emozionale nei momenti clou della pellicola viene meno: troppo repentina la discesa agli inferi di Gagarin così come il finale che dovrebbe rappresentare lo zenith del film ma scivola via senza lasciare troppe tracce. Anche le antiche tradizioni Urka, impersonificate dal nonno Kuzya, stentano a venire a galla, in particolare il ruolo di assoluto rilievo che nel libro ha la figura del tatuatore all'interno del villaggio. Si ha come la netta sensazione che in Educazione siberiana tutto sia rigorosamente bianco o nero, senza mezze misure e sin dalle prime scene è palese l'abisso che separa Kolyma da Gagarin: il primo sembra un principino più che un criminale, il secondo ha lo sguardo torvo e il capello scompigliato di chi non aspetta altro che creare problemi. Di questa superficialità di fondo paga il pegno maggiore il personaggio di Xenja (Eleanor Tomlinson), la bella figlia del dottore del villaggio, affetta da demenza. I matti sono per gli Urka (come per gli indiani d'America) dei “voluti da Dio” e trattati con il massimo rispetto ma il suo rapporto con Kolyma non riesce mai a decollare. Non mancano scene davvero degne di nota: assolutamente meravigliosa la giostra che gira nello sperduto paese innevato mentre emergono le prime tracce del capitalismo post-URSS sullo sfondo di Absolute Beginners di David Bowie, o l'ingresso di Kolyma nella sua cella che si rivela essere la tana di decine di criminali, organizzati come una piccola città in cui ognuno copre il ruolo che non si è riuscito a ritagliare nel crollo della società postcomunista sovietica. E Salvatores ha il merito di non edulcorare la violenza in cui crescono i due protagonisti (guardare la scena al rallentatore della rissa con i georgiani per credere). Educazione siberiana non lascia sicuramente indifferenti ma allo stesso tempo non cattura fino in fondo.


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