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Joint Security Area

18/03/2013 12:00

Carlo De Sanctis

Recensione Film,

Joint Security Area

Park Chan Wook si ispira al romanzo DMZ di Park Sang-yeon e, grazie ai benefici della politica democratica del presidente Kim Dae-jung, riesce a trattare con pa

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Park Chan Wook si ispira al romanzo DMZ di Park Sang-yeon e, grazie ai benefici della politica democratica del presidente Kim Dae-jung, riesce a trattare con particolare attenzione e delicatezza la tematica più nauseante che da decenni affligge la penisola coreana: la "guerra fredda" tra Repubblica di Corea e Repubblica popolare Democratica di Corea. Il successo di Joint Security Area è legato a doppio filo al tempismo con cui è uscito nelle sale e quindi alla situazione socio-politica della nazione. Il regista sudcoreano riesce ad inserirsi in un particolare periodo storico con puntualità svizzera - ogni forma di repressione e di dittatura è messa al bando - assicurandosi così un inaspettato trionfo di critica e box office.


Sophie Lang (Lee Yeong-ae), capitano dell'esercito svizzero di origini coreane nonchè membro del NNSC (Neutral Nations Supervisory Commission, un meccanismo in grado di regolare i rapporti tra Nord e Sud), viene incaricata di risolvere il mistero che si cela dietro l'uccisione di due soldati nordcoreani, avvenuta a Panmunjom, un villaggio posto sulla linea di confine delle due Coree. I sospetti si concentrano su un soldato sudcoreano ferito trovato vicino al luogo della carneficina, il sergente Lee Soo-Hyuk. Le ricerche di Sophie sono più complicate del previsto, perchè dietro questo oscuro enigma è nascosto l'insospettabile legame affettivo tra il sergente sudcoreano Lee e il sergente nordcoreano Oh Kyung-Pil, unico sopravvissuto nel posto di guardia.


L'industria cinematografica coreana si affaccia al panorama mondiale con questa pellicola che, in brevissimo tempo, si impone come la più vista degli ultimi dieci anni. Il regista alza decisamente il tiro rispetto ai due lavori precedenti mettendo lo spettatore di fronte alla realtà dei fatti. Quello che inizia come un thriller si trasforma in una sorta di war movie di stampo fantapolitico, con accenti ironici mischiati a influenze prettamente sentimentali. Quest'amalgama progressivo di generi mischiato ad un'ottima fotografia - dalle tonalità blu e verdi predominanti - e alla bravura degli attori creano una dimensione di costante tensione, in cui la già delicata convivenza nella zona demilitarizzata è destinata a saltare. Una narrazione che percorre le contraddizioni di un paese scisso da divieti e paure. Dalla guerra di Corea fino ad oggi, chi sperava in un riavvicinamento era considerato un traditore della propria nazione; e per quanto ogni cittadino coreano sognasse un futuro in unico grande paese, la sua vita quotidiana era profondamente influenzata dalla propaganda dell'odio per il nemico. Park racchiude il fulcro emotivo nella sequenza in cui il sergente sudcoreano Lee incontra alla luce del sole il suo amico nordcoreano: i due soldati, posti uno di fronte all'altro sulla linea che separa le due Coree, non possono che ricordare i bei momenti passati insieme nelle nottate precedenti e, per continuare a divertirsi, si sputano vicendevolmente sulle scarpe. Joint Security Area è lo spiraglio che meglio rivela i motivi per cui il regista sudcoreano e il suo modus registico siano così strettamente legati alle condizioni e alle problematiche dell'ex colonia Nipponica.


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