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Gli amanti passeggeri

21/03/2013 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Gli amanti passeggeri

Durante un soleggiato pomeriggio, Leòn (Antonio Banderas) e Jessica (Penelope Cruz) provocano, loro malgrado, il malfunzionamento dell’aereo che sta per partire

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Durante un soleggiato pomeriggio, Leòn (Antonio Banderas) e Jessica (Penelope Cruz) provocano, loro malgrado, il malfunzionamento dell’aereo che sta per partire dall’aeroporto di Madrid. Un’ora e mezza dopo, ad alta quota, i passeggeri che viaggiano in Economy sono scivolati misteriosamente in un sonno placido. Ma sul volo 2549 della compagnia Peninsula, i passeggeri della Business capiscono che c’è qualcosa che non va. Toccherà ai tre Stewart Joserra (Javier Càmara), Fajas (Carlos Areces) e Ulloa (Raùl Arévalo) tentare di arginare la paura di un gruppo variopinto di passeggeri che include una escort (Cecilia Roth), un killer professionista (José María Yazpik), una sensitiva (Lola Dueñas) e una coppia di giovani sposi.


A distanza di anni dalla sua ultima commedia, Pedro Almodòvar tenta un ritorno consapevole ai toni eccentrici ed esagerati delle sue origini. Gli amanti passeggeri si presenta come un film corale, che poggia le sue migliore qualità sulle interazioni non solo tra i personaggi che sono costretti tra le pareti dell’aereo, ma anche tra questi e coloro che sono rimasti a terra. In questo modo imprigiona i protagonisti in un luogo che è insieme immutabile e in continuo divenire, proprio come le personalità messe in gioco. L’Ippodromo – che in termini d’aviazione indica una zona a 5000 metri d’altezza sopra Toledo – è l'area franca di transito dove gli aerei sono costretti in attesa che venga loro concesso una pista di atterraggio per problemi di sicurezza; ma per il regista di Parla con lei l’Ippodromo è soprattutto un pretesto, per i personaggi, di uscire allo scoperto abbandonando comportamenti falsi e ordinari a favore di atti disinibiti e liberi. Utilizzando colori molto accesi e toni che oscillano tra il surreale e il grottesco, Almodòvar cerca di richiamare alla mente degli spettatori gli anni ’80 – anche grazie a scelte musicali oculate – che furono, soprattutto per la Spagna, anni di sfrenata libertà. Le maschere messe in scena, tutte esagerate e oltre il confine del realismo, divertono lo spettatore proprio per la loro sfrontatezza, per il loro tendere a qualcosa di astratto, sebbene moralmente condannabile in alcuni casi.


Tuttavia l’entusiasmo di Almodòvar nell’essere ritornato ad un genere che l’ha portato sull’olimpo dei registi europei gli si ritorce contro: il maestro iberico spinge troppo sull’acceleratore, filmando sequenze che, il più delle volte, sembrano scollegate l’una dall’altra, come un mosaico pasticciato di gag non sempre completamente riuscite. A mancare è un ordine intrinseco, una logica continuativa che possa condurre il film ad essere riconosciuto come prodotto ben delineato, invece di un pastiche confusionario, dove troppa carne viene messa al fuoco. Un plauso va comunque fatto al cast, soprattutto a Javier Camara, vero motore trainante del volo 2549 che, con i suoi compagni di lavoro (tutti, naturalmente, omosessuali) dà il via alla scena più divertente della pellicola sulle note di I’m so excited.


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