Tratto dalla penna pungente di Bret Easton Ellis, scrittore di Meno di zero, Imperial Bedrooms e quell'American Psycho che ispirò il film omonimo con Christian Bale, The Canyons si pre-annuncia pellicola sfrontata, grazie anche ad un cast capitanato da Lindsay Lohan e l'attore di film hard James Deen. Christian (James Deen), ragazzo ricco e viziato dedito ai piaceri della vita, è fidanzato con Tara (Lindsay Lohan), ex attrice in cerca di protezione. Una sera al ristrorante incontrano Ryan e Gina, rispettivamente un attore alle prime armi - innamorato segretamente di Tara - e l’assistente personale di Christian. Da questo momento in poi quei cunicoli segreti che collegavano reciprocamente le loro vite iniziano ad emergere in superficie: il loro coinvolgimento nella produzione di un nuovo film è solo un pretesto. La realtà è che quel film non interessa davvero a nessuno ma, ironia della sorte, diventa inconsapevole strumento che condurrà alla fine di queste strane relazioni pericolose. Pensare che un lungometraggio possa apparire scandaloso solo per un cast chiacchierato e ingombranti scene di nudo è un po’ come prendere in giro lo spettatore. Dopo tutta la pubblicità sulla riabilitazione di Lindsay Lohan, sulla volontà del regista di girare un film di qualità e low-cost, sulla denuncia degli autori di voler dar scandalo, ci si aspettava di più. Di sconveniente questo film non ha nulla. Ed è un peccato, perché gli ingredienti non mancano, e Paul Schrader non è nemmeno l’ultimo dei registi - ricordiamo American Gigolò e l’ultimo, apprezzabile lavoro del 2009, Adam Resurrected). E nonostante le scene in bianco e nero iniziali - la macchina che indugia all’ingresso di cinema decadenti - e alcune inquadrature in cui i protagonisti parlano fisso in camera giocando con lo spettatore, nonostante il cameo di Gus Van Sant, il film non si salva. Più che ossessioni, manie sessuali, violenza e perversioni, The Canyons sembra descrivere il tentativo imbranato di quattro ragazzi attaccati ai loro smartphone mentre cercano di riempire con giochetti erotici il vuoto cosmico delle proprie esistenze. Niente di nuovo quindi: il déjà-vu dimostra ancora una volta tutta la difficoltà di riuscire, unendo girato, fotografia, scelte stilistiche e ritmo narrativo, a innalzare la tematica da quella nicchia di banalità a un livello più interessante. Se poi si vuole leggere il tentativo di descrivere l’assassinio del cinema per mano delle ambizioni e dell’approssimazione giovanile forse stato necessario un maggiore impegno, perché così concepito dà la sensazione che il regista abbia voluto invece contribuire alla causa.