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The Machine Which Makes Everything Disappear

07/02/2014 12:00

Riccardo Cotumaccio

Recensione Film,

The Machine Which Makes Everything Disappear

Con The Machine Which Makes Everything Disappear al Sundance Film Festival 2013 (il festival di cinema indipendente creato da Robert Redford) Tinatin Gurchiani

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Con The Machine Which Makes Everything Disappear al Sundance Film Festival 2013 (il festival di cinema indipendente creato da Robert Redford) Tinatin Gurchiani si è aggiudicata il World Cinema Directing Award Documentary. In occasione del Mese del Documentario alla Casa del Cinema di Roma, il film che nel frattempo ha collezionato numerosi riconoscimenti in tutto il mondo - dall’Hong Kong Film Festival 2013 agli Hot Docs 2013, passando per il festival internazionale del documentario di Amsterdam - è approdato anche in Italia.


Quello di Tinatin Gurchiani - che esordisce alla regia - è uno spaccato, crudo ma reale, della Georgia di oggi. Di quel paese ritrovato, sì, ma ben diverso da come lo aveva lasciato per intraprendere un lungo viaggio europeo. Il documentario nasce quasi per gioco, immerso nelle logiche della vita reale. È l’annuncio di un casting per ragazzi dai 15 ai 23 anni ad attirare la curiosità di molti attori e persone comuni, felici – anche se non retribuiti – di esser protagonisti sul grande schermo. L’interesse è grande, esagerato: è evidente il volere di molti di fuggire dalla monotonia della propria vita per calarsi nei panni del Jean-Claude Van Damme di turno, sognando Hollywood ad occhi aperti. Di fronte alla telecamera gli aspiranti attori confessano i loro timori e le loro speranze, rivelando – tramite testimonianze reali, quasi mai frutto di sceneggiature o copioni – spaccati di una Georgia eterogenea, divisa tra la povertà delle zone extra-urbane e l’arretratezza sociale dei grandi centri urbani.


Protagonisti del provino sono individui (perlopiù adolescenti, come indicava l’annuncio) di ogni genere: dal lavoratore al fotografo, dalla futura sposa al ragazzino di 8 anni, che però dimostra una grande maturità. Ognuno di loro ha una differente storia da raccontare, da mostrare, da seguire. Spesso, scavando in quei racconti, si trova sofferenza, ambiguità, chiusura. È la Georgia di chi non sa usare un telefono cellulare, di chi si prende cura delle proprie donne in maniera ottusa, di chi – non senza difficoltà – vuole evadere dalla campagna per cercare di meglio a Tbilisi mettendo in gioco tutta la sua vita. È un viaggio, diviso in più fasi, che si rispecchia in mondi diversi, sentimenti contrastanti, quasi tutti con un comune denominatore: la sofferenza. Ed è proprio qui che il film si concentra, forse cercando una vena polemica, tendente alla denuncia. The Machine Which Makes Everything Disappear si presenta poco dinamico, a tratti macchinoso, privo di colonne sonore e ricolmo di suoni reali, vivi che tuttavia non incantano. È uno spaccato, forse troppo deprimente, forse poco rappresentativo e senza sfumature. Ma del resto, uno spaccato quasi mai è capace di offrire un disegno a trecentosessanta gradi.


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