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Confessions

11/03/2014 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Confessions

Tetsuya Nakashima torna a trattare il tema dell’adolescenza, ma stavolta in un noir

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Yuko Moriguchi (Takako Matsu) è una giovane professoressa che ogni giorno ha a che fare con una classe indisciplinata e difficile. Dietro la sua apparenza forte, la donna combatte con il dolore, mai superato, per la morte della piccola figlia. Convinta che dietro l’annegamento della bambina ci siano due dei suoi studenti, Yuko mette a punto un piano macabro e crudele per vendicarsi, in un gioco di confessioni che ruota intorno al vero e al fittizio.


Il cinema asiatico abitua lo spettatore a una placida, lenta spiritualità anche nei suoi tipi più cruenti. Se nelle forme del romanticismo può essere leggero e bianco come la neve, nella più contemplativa speculazione sul dolore - tanto nei contenuti quanto nella tecnica - l’oppressivo indagare in profondità negli abissi dell’umano si tinge di nero e grigio, come la china sbiadita. Lontano anni luce dagli eccessi cromatici di Kamikaze Girls e Memories of Matsuko, Tetsuya Nakashima torna a trattare il tema dell’adolescenza, ma stavolta in una svolta noir la cui trama è tratta dal romanzo di Kanae Minato, un dramma teen cupo e di difficilissima ricezione. Confessions è un film che non si vorrebbe vedere: una pellicola dura e respingente almeno quanto attraente per come è girata, tra immagini costruite a regola d’arte in un’estetica del macabro che punta la sua resa su una fotografia pallida, sul rallenty e su una colonna sonora che passa da Bach ai Radiohead. Solo nei primi venti minuti infatti, Nakashima realizza in poche mosse un vero e proprio saggio di cinema orientale mettendo in scena un prologo ironico e dissacrante giocato su slow motion che enfatizzano l’allungarsi del momento introduttivo in previsione della galoppata di emozioni contrastanti che arriveranno. Nonostante la derivazione letteraria, il ritmo perfettamente studiato per il cinema non rinuncia ad un andamento quasi teatrale: introduzione, colpo di scena che divide in due la vicenda – la drammatica confessione – e svolgimento della vendetta, con le sue conseguenze devastanti sui protagonisti e sul pubblico. Lo spettacolo di gelida crudeltà a cui si è sottoposti è un’esperienza cinematografica quasi unica: da una parte le conseguenze estreme alle quali il dolore può condurre una madre, dall’altra l’indifferenza di una comunità di spietati giovanissimi, ignari della cattiveria che la domina. Un contesto in cui nessuno è salvo, in cui né la sofferenza né l’innocenza si sottraggono alla dannazione e in essa infine si annullano.


Già nelle precedenti pellicole Tetsuya Nakashima si era distinto per contaminazione e originalità, ma Confessions è un film fuori dalla norma, privo persino di un genere che arrivi a contenerlo. Dramma psicologico da un lato, melò sociale dall’altro, teen movie e thriller dalle sfumature quasi horror, è soprattutto l’impronta diaristica/epistolare che offre al film la sua struttura e porta lo spettatore a doversi orientare fra confessioni scritte o pronunciate, a dover decifrare il vero e il falso.


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