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Grace di Monaco

14/05/2014 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Grace di Monaco

Nel 1956, tra i saluti di una commossa toupe, Grace Kelly (Nicole Kidman) termina di girare il suo ultimo film, High Society, per raggiungere a Monaco il suo fu

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Nel 1956, tra i saluti di una commossa toupe, Grace Kelly (Nicole Kidman) termina di girare il suo ultimo film, High Society, per raggiungere a Monaco il suo futuro marito Ranieri (Tim Roth) e diventare una Principessa Grimaldi. Sei anni dopo, Grace di Monaco deve fare i conti con il difficile mestiere di essere una consorte reale, in un principato in crisi minacciato da una Francia sempre più aggressiva, incastrata tra un matrimonio complicato e la proposta di Hitchcock che la vuole di nuovo ad Hollywood come protagonista di "Marnie". Nel corso di alcuni intensi mesi, Grace dovrà scegliere definitivamente se ritornare alla mai dimenticata carriera di attrice o dedicarsi esclusivamente ai suoi doveri di moglie e principessa.


Nella celebre conversazione con François Truffaut, Alfred Hitchcock confessò che, mentre non cessò mai il rancore con Ingrid Bergman per il “tradimento” con Rossellini, non serbò alcun risentimento a Grace Kelly per aver preferito un principe a lui. Sebbene gli rimase sempre il rimpianto di non averla avuta protagonista in Marnie, non smise mai di essere affascinato da quei modi alteri ed eleganti, che il regista de La finestra sul cortile aveva giudicato “aristocratici” molto prima che la sua attrice preferita diventasse Principessa di Monaco. Olivier Dahan, dopo aver incantato il mondo con il suo straziante, poetico ritratto di Edith Piaf, torna al biopic cinematografico cimentandosi con un’altra icona: Grace Kelly, figlia di un “arricchito” di Filadelfia, che dopo aver vinto un Oscar nel 1954 ed essere eletta icona di eleganza nel mondo, nel 1956 mise da parte il cinema per diventare la principessa alla quale tutte le altre reali a lei succedute - a Monaco, come altrove – si sarebbero ispirate. Mentre il film era ancora in lavorazione, Dahan aveva già più volte specificato di essere interessato a girare non una pellicola biografica ma un ritratto sentimentale della Principessa di Monaco. Ma, sia lo spessore del personaggio sia il tono della narrazione – impostato sin dalle prime inquadrature in un’aura mitica, persino agiografica – richiedevano senza’altro più cautela e accuratezza dell’operazione melensa e superficiale che il regista considera il “racconto personale della figura di Grace Kelly”. Non che siano mancati nella storia del cinema ritratti di donne celebri condotti con intimità e soggettivazione – recentemente, fra i più riusciti, la Marilyn di Simon Curtis, la Coco Avant Chanel di Anne Fontaine e anche l’Edith Piaf dello stesso Dahan – ma nel raccontare una fra le più celebri attrici di tutti i tempi come una divinità monegasca, tra immagini sfuocate, abiti meravigliosi, gioielli e monologhi strappalacrime, c’è tanto glamour e poca passione.


Nonostante Nicole Kidman - che con l’attrice di Filadelfia condivide non solo la somiglianza ma anche una carriera di accuse di frigidità cinematografica - potesse apparire perfetta nel ruolo, la sceneggiatura di Arash Amel, con la sua trama da sceneggiato televisivo, e la regia di Dahan, fatta di movimenti di macchina elogiativi e pochissimo ritmo, condannano sia Nicole che Grace a un’immagine alternativamente gelida o isterica. E se si vuole sorvolare sull’assoluta grossolanità con cui sono raccontati i personaggi di Aristotele Onassis e Maria Callas (quest’ultima, come del resto l’interpretazione di Paz Vega, relegata ad orpello decorativo di ricevimenti in barca e serate danzanti), non sfugge l’inappropriatezza di Tim Roth, attore ormai compreso più dal piccolo che dal grande schermo. Nei panni dell’ingessato Ranieri, politico confuso e marito severo soggetto ai consigli di un arrogante Onassis, non gli resta che decifrare – forse in citazione di televisivi tempi migliori – le espressioni facciali della sua algida moglie, istruita dall’eccentrico Conte Fernando (Derek Jacobi) ad essere principessa tanto quanto a fare l'attrice. Uniche scelte riuscite di cast sono Frank Langella come confessore Tucker (ruolo molto romantico e letterario) e l’affascinante Hitchcock di Roger Ashton-Griffiths. Dai tempi de La vie en Rose, Dahan ha perso di vista l’obiettivo e realizzato una pellicola inconsistente che non rende giustizia né al mito né alla donna che la Principessa di Monaco fu. Va tuttavia notato come il suo ottimo gusto per l’inquadratura e per la resa estetica gli concedano comunque di dirigere un film letteralmente regale, dai toni magnificenti, disseminato di citazioni cinematografiche fra cui spicca la bella corsa in macchina di Grace Kelly sui tornanti, come in un dejavù di Caccia al ladro.


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