Assolo segna l’esordio della Moon Over alla produzione, nonché di gran parte del cast e del regista. Il film vuol essere innovativo, speciale, e nonostante il bassissimo budget a disposizione vuol lasciare il segno cercando di puntare sull’arte, ovvero sulla musica e sul teatro. A dirigerlo Massimo Piccolo, regista, autore e scrittore proveniente – non a caso – dal teatro, da cui si distacca per la prima volta tentando il colpo sul grande schermo. Si parte dal dietro le quinte, da un retropalco affollato di ricordi, musicisti e belle donne, qualche rimorso e pochissimi rimpianti. Danny Caputo (Antonio De Matteo) è un musicista, suona il sassofono, si prepara per il grande debutto a New York. Prima dell’esordio, però, un amico gli chiede se la sua donna è in sala. Danny – soprannominato “sweet touch” – in quel momento scopre che rispondere ad una domanda è un po’ come aprire una porta: cominci a parlare all’improvviso e ti ritrovi in un altro luogo. Da quel quesito la trama del film va più volte a ritroso, ritrovandosi in episodi del passato profondi, vissuti e rivisitati. Le città e i luoghi si mischiano nella mente del protagonista come in un deja vù, momenti indefiniti, eppure reali, che si presentano ai suoi occhi quasi fossero un flusso di coscienza interminabile, precedenti a quel grande esordio che pare essere il punto di arrivo di una vita e di una carriera, a cui hanno contribuito, nel tempo, amori, delusioni e rinascite, accomunate da uno stesso entusiasmo: quello per la musica. Di Assolo colpisce di più proprio la colonna sonora originale composta da Claudio Passilongo, compositore e pianista eclettico, attento ai molteplici aspetti del jazz, genere di cui è amante. In un film che vuol concentrarsi sulle note (a partire dal titolo) l’originalità delle musiche era un’esigenza da non sottovalutare. Nella pellicola, però, nonostante la bellezza dei pezzi, l’alternarsi di ritmi poco differenti l’uno dall’altro rendono il tutto molto coerente ma poco dinamico, comunque accompagnando la trama in maniera adeguata. La pellicola risulta troppo teatrale, forse proprio in virtù della natura “da palco” che ha accompagnato Assolo negli anni precedenti al debutto sul grande schermo. Scenografie limitate, fotografia altrettanto teatrale (e in quanto tale poco adatta al cinema) e recitazione a volte difettosa, lasciano dei vuoti in un film che (forse con un budget superiore) avrebbe sicuramente potuto dare di più. Da sottolineare e da esaltare, invece, l’interpretazione del protagonista: Antonio De Matteo, che - impegnato quasi costantemente in un grande monologo – dimostra d’essere all’altezza di un ruolo complicato, ambiguo e malinconico. Assolo vanta un’ottima sceneggiatura, ma – visto il budget insufficiente – riesce solo a metà, esaltando le doti attoriali di pochi, e stagliandosi sul confine di quel film potenzialmente interessanti ma de facto molto, molto migliorabili.