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La zuppa del demonio

30/09/2014 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

La zuppa del demonio

Nel 1964 Dino Buzzati parlava di “zuppa del demonio” per commentare il lavoro degli operai dell’acciaio...

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Nel 1964 Dino Buzzati parlava di “zuppa del demonio” per commentare il lavoro degli operai dell’acciaio. Cinquant’anni dopo, quest’infernale e confusa immagine di fatica, audacia, sudore e sacrificio è la migliore che il regista Davide Ferrario potesse trovare per descrivere il suo viaggio ascensionale e decadente nell’industria italiana. Uno sguardo sul passato che parla – inequivocabilmente - anche della società attuale, riunendo l’Italia produttiva in un unico calderone, matido di novità ma privo di forma. Una zuppa indistinta, oggi più amara che necessaria.


Difficile non scorgere, dietro la nostalgia dei filmati d’epoca, il fallimento o meglio, il drastico adattamento alla realtà, delle utopie positiviste che da inizio secolo fino al Boom hanno accompagnato le ultime rivoluzioni industriali. Al termine di questo sogno c’è il presente, il tentativo (non concesso) di abbandono del secondo settore in funzione di un indefinito futuro iper-tecnologico e virtuale. Dalle visioni scientiste della Bella Epoque alle pretese fasciste e alle ingenuità operaie, il tema centrale del film di Davide Ferrario è la parabola dello sviluppo italiano che, nella crisi contemporanea, assume un lato persino poetico, sicuramente epico. Si parte dalle immagini de Il pianeta acciaio, il documentario del ’64 che diventa simbolo della riscoperta del fu cinema industriale, un vero e proprio genere che vide il successo durante il miracolo economico ma che ha propagandato l’“Italia del futuro” sin dal primo Novecento. Pionieri come Olivetti o capitani di ventura come Mattei - che al paese hanno consacrato il lavoro, la vita e talvolta la morte stessa – sono i protagonisti di un film nostalgico ma energico, una finestra cinematografica che rievoca il notorio l’entusiasmo italiano, addormentato oggi almeno quanto la proverbiale capacità mediterranea di fare fronte alle crisi. La zuppa del demonio trascina lo spettatore in un revival carico di contenuti, dove anche gli scempi sulla natura e sulla forma agricola della penisola sono mostrati senza che la forte impronta etica e ideologica della tesi sostenuta infici la riuscita del documentario.


Presentato fuori concorso alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia, La zuppa del demonio è il ritorno di Davide Ferrario – dopo un esperimento nel 2013 con la commedia La luna su Torino – a un documentario tradizionale ma non scontato. In opposizione alle sperimentazioni fra docu e fiction e alle contaminazioni di genere, il regista cremonese dirige un film classico ma ben fatto. Un montaggio di ottanta minuti di immagini, accompagnate dalle parole dei “profeti” del secolo scorso (Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini), per una ricostruzione che celebra il miracolo che ha rialzato l’Italia nei momenti peggiori.


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