Alice (Julianne Moore) è una giovane e intelligente professoressa di linguistica alla Columbia University di New York. È una donna di elevata istruzione che divide felicemente il suo tempo tra le lezioni per i suoi studenti e i manicaretti in cucina per l'adorata famiglia. A graduali episodi di vuoti di memoria, che le fanno intuire che qualcosa in lei non va, seguono i necessari controlli medici che le diagnosticano una rara forma precoce di Alzheimer. Da qui l'ossimorico racconto, elegante e leggero, di un calvario: una malattia degenerativa che piano piano si impossessa di una mente giovane e intellettuale; la consapevolezza, da parte della protagonista di tutto ciò che a breve avverrà. Tratto dal romanzo di Lisa Genova, Still Alice - come a volte succede - nasce sotto una triste coincidenza: uno dei due sceneggiatori del film si ammala di SLA proprio quando riceve la proposta di adattare il testo per lo schermo cinematografico. Da questa concomitanza di eventi, la volontà dichiarata di tutti gli addetti ai lavori di confezionare un film diretto con pochi fronzoli, raccolto come un'intima preghiera. Le similitudini con Amour di Michael Haneke o Lontano da lei di Sarah Polley sono inevitabili: il film si inserisce a pieno all'interno del tema della malattia e della senilità. Still Alice, presentato in concorso al Festival di Roma 2014, costituisce però una variazione sincera e moderna dinnanzi alla quale un figlio non può che commuoversi. Il percorso narrativo è retto per tutto il tempo dalla soggettiva della Moore. La scelta registica è quella di intensificare la presenza scenica della protagonista, mostrandocela rapita dalla malattia o giovane e sana, riflessa in specchi sparsi per la casa o attraverso un video registrato sul pc nel suo tentativo ostinato di reagire alla malattia. Questi "mini quadri" di Alice si innestano armonicamente nel flusso della storia, senza bruschi stacchi o salti temporali e, solo nella seconda parte, le divagazioni sulla personalità della protagonista lasciano il passo alla descrizione del suo cambiamento. Il film è un racconto in prima persona: attraverso un delicato uso della messa a fuoco, la donna racconta il suo dramma interiore escludendo di volta in volta dal campo visivo - come nella sua mente - persone, oggetti, ricordi. Lo spazio filmico si esaurisce in una dimensione familiare e composta, dove i suoi membri (Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Paris e una splendida Kirsten Stewart) hanno solo un ruolo di bravissimi comprimari, ancor più della malattia, protagonista insieme a una Juliane Moore da applausi. Le parole si scrivono e si cancellano, i ricordi sbiadiscono all'orizzonte e le persone si perdono. Still Alice è il tentativo ben riuscito di raccontare l'incedere di una malattia attraverso la timida ritrosia della sua protagonista, combattuta tra il disagio di dover parlare di un argomento così personale e il bisogno di preparare gli affetti a lasciare che si perda - assieme alla memoria - in una dimensione onirica fatta di vuoto. La scelta narrativa di non indugiare sulle fasi finali della malattia convince ancora di più. E si spera che per la Moore, finalmente, l'Oscar arrivi.