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The Imitation Game

26/11/2014 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

The Imitation Game

Forse qualcuno ricorderà Enigma, film del 2001 con Dougray Scott e Kate Winslet...

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Forse qualcuno ricorderà Enigma, film del 2001 con Dougray Scott e Kate Winslet. Dal romanzo di Robert Harris, Michael Apted dirigeva un dramma d'amore sullo sfondo del secondo conflitto mondiale; un film non indimenticabile che sfiorava solo incidentalmente il personaggio di Alan Turing, matematico che ebbe ruolo decisivo nella decodifica dei sistemi di cifratura tedeschi durante la guerra. A distanza di anni il regista norvergese Morten Tyldum – una carriera di successi alle spalle, da Buddy del 2003 al Headhunters del 2008, record di incassi in patria – recupera l'ispirazione ma cambia la storia e i protagonisti. Il romanzo trasposto è stavolta di Andrew Hodges e si chiama Alan Turing. The Enigma: la vita del matematico inglese che, dopo aver servito nell'esercito attraverso le proprie conoscenze di criptoanalisi per decifrare il Codice Enigma, fu perseguitato a causa della propria omosessualità, arrestato e condannato alla castrazione chimica. Fino al drammatico suicidio nel 1954.


Gli ingredienti ci sono tutti e la corsa all'Oscar è assicurata. Quella di Alan Turing è una storia “contro” che ha in sé gli elementi per appassionare l'Academy: il dramma bellico, l'epica della grande mente, il tormento del matematico (dopo A Beautiful Mind, garanzia di successo) a cui si aggiunge la battaglia contro una persecuzione feroce dovuta alle accuse di omosessualità. Quasi più della trama sembra tuttavia assumere ancora più importanza l'appeal, non solo per la regia del "film talent" Morten Tyldum, ma soprattutto per il volto dell'attore del momento su tutte le locandine: Benedict Cumberbatch (che voci vogliono a sostituire nel film niente meno che Leonardo Di Caprio) british e giovane abbastanza da poter essere considerato - oltre che il protagonista indiscusso di serie tv e film, prodotti sui territori di Sua Maestà - l'erede di Colin Firth. Se è vero infatti che l'ultimo biopic inglese a fare incetta agli Oscar è stato Il discorso del re, può ben sperare anche The Imitation Game.


Nel brusco raccontare la parabola di Alan Turing, il mondo moderno chiede redenzione per il trattamento disumano riservato a un genio matematico che può essere considerato anche un eroe di guerra: non fosse stato per gli studi che hanno condotto alla decriptazione dell'Enigma, il secondo conflitto mondiale sarebbe prevedibilmente durato qualche anno di più. Mentre nel film di Michael Apted l'imprescindibilità del Codice non era così ben resa, The Imitation Game - facendo leva sull'ossessione del matematico - racconta perfettamente allo spettatore una battaglia parallela a quella combattuta sui campi europei, ma altrettanto decisiva. Alla mente in perenne lavoro di Turing - che lo condusse all'elaborazione delle sue machines (diretti antenati dei moderni pc) - si contrappone, nella seconda metà del film, la violenza che gli viene imposta e che lo colpisce là dove è più vulnerabile, distruggendone prima il fisico poi la mente, fino al più drammatico epilogo. Come molti dei geni del secolo scorso rappresentati sullo schermo, l'Alan Turing di The Imitation Game (merito anche del brillante attore protagonista) è un personaggio che divora la storia con il suo fascino e le sue sterminate risorse, così dominante che pare impossibile vedere divorato a sua volta dal destino e farsi sempre più piccolo, man mano che la vicenda volge al termine. Tuttavia, forse perché Cumberbatch è persino più Sharlock Homes dell'originale, la sua eleganza innata – riflessiva, un po' gelida - non aiuta a immaginarlo disperato e, anche nei momenti più drammatici del film, l'attore mantiene un dominio straniante su un personaggio che, invece, sarebbe stato interessante vedere crollare tragicamente. Quasi più disperati i comprimari di Mark Strong e Keira Knightley. Sebbene la fascinazione sia molta, Alan Turing resta - anche dopo il minuzioso biopic di Tyldum - un personaggio misterioso come i suoi codici. Lo sceneggiatore Graham Moore ha dichiarato di aver desiderato a lungo risolvere Turing, come si fa con un rompicapo. Se anche resta da apprezzare l'ingegnosa scrittura del film, che si alza e si abbassa continuamente di tono come una curva matematica, in The Imitation Game manca lo strazio, il dolore vero sullo schermo, la capacità di trascinare lo spettatore nel baratro con il suo protagonista, fino alla catarsi. Il soggetto lo concedeva, i tempi erano maturi e il personaggio perfetto, eppure anche l'Alan Turing di Morten Tyldum sarà ancora per il pubblico più un logico che un prigioniero tormentato di sè stesso.


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