Dopo aver avuto incassi da record in patria e un riscontro un po' meno caloroso negli Stati Uniti – dove il primo Mad Max subì uno strano quanto misterioso processo distributivo – il regista George Miller torna nella desertica Australia, ritrovando il suo protagonista Mel Gibson e la sua V8 Interceptor. Sebbene sia ormai riconosciuta una certa verità nell'affermazione che vuole il sequel sempre più debole della pellicola che lo ha partorito, Interceptor – Il guerriero della strada è l'eccezione che conferma la regola: è stato proprio questo film, infatti, a cooperare alla costruzione di un immaginario collettivo che si è susseguito in tre decadi. Max (Mel Gibson) è un uomo alla deriva, nutrito da una disperazione di fondo che ha colpito l'intera razza umana, ormai stanca e morente in un universo distrutto, desertico, privo persino della civiltà. In questo contesto dove una guerra per le risorse energiche (non da ultima la benzina) la fa da padrone, l'uomo si imbatte nella Tribù del Nord, custode di una piccola riserva di benzina e, per questo, obiettivo ultimo degli Humungus. L'eroe sceglierà di aiutare questi sconosciuti a difendersi e a spostare le loro risorse. Scelta, ovviamente, che non piace affatto al Lord dei nemici (Kjell Nilsson). Interceptor – Il guerriero della strada è stato il film che ha fatto di una saga un cult. La dote maggiore di questo secondo capitolo, infatti, sta proprio nella violenza di fondo messa al servizio di una nuova umanità, barbara e senza regole. L'Australia torna ad essere teatro di scontri e redenzione, ma questa volta la marca del “post-apocalittico” si fa ancora più forte, ancora più estrema. L'umanità ha infine divorato se stessa, lasciando sulle strade solo pallide ombre di umanoidi quasi meccanici, privi di linfa vitale e legati solamente alle (poche) riserve di petrolio. Al centro c'è ancora una volta Mad Max: Mel Gibson, con un corpo più pieno e l'aria sporca e trasandata che mancava totalmente in Interceptor. Max porta su di sé i segni degli eventi della prima pellicola e, in qualche modo, il suo corpo è l'unico legame tra i due mondi. Ne Il guerriero della strada George Miller si rinnova e, quasi con crudeltà, taglia ogni ponte con il passato: ora c'è solo un uomo disperato che lambisce la bestialità, un sopravvissuto che cerca in ogni modo di trascinarsi lungo i confini aridi di un mondo sempre più in disfacimento. Lo spettatore si trova così lanciato in un mondo senza regole ne confini, in una costruzione diegetica che fa del ritmo calzante la propria carta vincente.