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Louisiana

26/05/2015 10:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Louisiana

Non c'erano solo Moretti, Garrone e Sorrentino al 68esimo Festival di Cannes...

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Non c'erano solo Moretti, Garrone e Sorrentino al 68esimo Festival di Cannes. L'Italia partecipava con il cortometraggio Varicella di Fulvio Risuleo (tra i vincitori) e con un documentario prezioso, decisamente poco commerciale: Louisiana, di Roberto Minervini. Dopo aver diretto l'illuminante Stop the Pounding Heart, il regista marchigiano - negli Stati Uniti da quindici anni - torna a occuparsi della “frontiera” americana. Il titolo originale è The Other Side. Un altro luogo. L'America che non si vede a Hollywood, né sulle riviste patinate, è la Louisiana: uno Stato emarginato, corteggiato solo quando si tratta di elezioni, dove la percentuale di disoccupazione sfiora il 60%.


Il film si divide fra due storie: Mark produce e vende droga, metanfetamina soprattutto. Ha una fidanzata, Lisa, una madre malata e una nonna piena di energia. La sua speranza è, anche per quest'anno, di non andare in prigione. Nel frattempo, il 4 luglio, una comunità di paramilitari armaioli si incontra per festeggiare e scaricare i fucili contro il faccione-bersaglio del presidente Barack Obama.


Roberto Minervini torna in Un Certain Regard per presentare un documentario duro, politico nel senso originario del termine. Cosa unisce la storia di Mark e della sua comunità con quella dei fanatici delle armi? La rabbia, certo, ma anche un desiderio di libertà che prende corpo in una scritta metaforica che attraversa il cielo: "Legalize freedom". Soprattutto, però, accomuna i personaggi di Louisiana la paura disperata di essere stati abbandonati, di svegliarsi un giorno e scoprire di non fare più parte del sogno americano. Minervini, ormai adottato dagli States, dirige un film che sconvolge non tanto per le immagini forti ma per la profondità con cui arriva a trattare i grandi temi della nazione a stelle e strisce: la democrazia (e la presunzione di “esportarla”), la libertà personale e quella collettiva, la guerra, il diritto alla ricchezza. La scelta è di rappresentare non gli Stati Uniti delle metropoli e delle strade larghe, ma il difficile e (un tempo) romantico Sud. Quei luoghi in cui per reagire all'indifferenza si impugna la siringa o il fucile. Il cuore americano fatto di arterie e vene sanguinolente, sgradevoli a vedersi ma fondamentali per la vita; un universo popolato da brutti eroi, presenze oscure che ogni giorno vivono fra emarginazione e violenza. Eppure – incredibile a credersi – il paradosso vuole che, anche in mezzo a chi venera le armi, si dica no alla guerra e all'esportazione di un modello economico che genera solo schiavitù. Rispetto a Stop the Pounding Heart, Louisiana è più brusco, meno poetico ma di certo più accurato. Dalle riprese, minuziosamente selezionate fra ore e ore di girato, emerge la cura maniacale per la ricerca del particolare. Questo realismo, puro sino all'estremo, non rende il film di facile fruizione. Se Stop the pounding heart si mostrava fiero della sua costruita semplicità, Louisiana non ammette sbavature artistiche e la ricercatezza stilistica stride con la scelta di non mettere filtri fra lo spettatore e la storia narrata. Eppure la brutalità delle immagini che assalgono lo spettatore (la spogliarellista incinta che si inietta droga, il sesso, gli spari contro “l'auto di Obama”) è nulla in confronto alla sensazione di abbandono che si ha durante tutta la visione. Fuori dalle grandi città, l'America ha dimenticato l'America.


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