Jack Dwyer (Owen Wilson) è un ingegnere americano trasferitosi nel sudest asiatico con la famiglia per lavoro. Pochi giorni dopo l'arrivo, nel paese insorgono i ribelli, disposti a rovesciare il governo e a uccidere chiunque li ostacoli. E la famiglia Dwyer dovrà sfuggire alla violenza. Dopo le esperienze horror con i film Quarantena, Devil e Necropolis, il regista John Erick Dowdle si cimenta nel thriller d'azione con No Escape – Colpo di Stato. Dowdle regala subito un'accelerata al film e, dopo l'iniziale premessa, lo struttura come un dramma d'azione con caccia all'uomo: la potenziale vittima è la famiglia protagonista, mentre i probabili esecutori sono i ribelli antagonisti. Ma se tensione, senso del pathos e dinamiche del racconto d'intrattenimento possono trovare un loro spazio, anche se con pochissime sequenze veramente coinvolgenti e coinvolte in un meccanismo di scrittura fin troppo noto, non si può non vedere No Escape – Colpo di stato sotto la lente politica dell'ennesimo film reazionario che posiziona banalmente i protagonisti dalla parte giusta e i cattivi da quella sbagliata. Un film che sembra uscito dagli anni Ottanta del cinema statunitense, dove lo spirito reazionario dell'action era - seppur radicale e sbagliato - in qualche modo giustificato dal contesto storico. In No Escape – Colpo di stato non c'è elaborazione su personaggi o su una qualche idea più complessa del mondo narrato, ma solo la volontà di dipingere in maniera fin troppo manichea i ribelli che stanno combattendo per la loro terra, proteggendola a ogni costo dall'egemonia straniera. Nonostante la parte finale tenti di bilanciare gli equilibri e di trovare un legame tra i personaggi, con l'ambizione dell'opera di denuncia globale No Escape – Colpo di stato non rifugge la sua identità così enfatica e ormai stantia nel cinema contemporaneo. Pur nascondendosi sotto la maschera da innocuo film d'azione.