Rose (Zamira Fuller) ha otto anni e vorrebbe andare a fare visita alla madre (Beth Orton), chiusa in un istituto a causa di una grave malattia. Rose, però, non è l'unica ad essere stata turbata dall'assenza improvvisa di Moira: sua sorella Ramona si perde in fantasticherie romantiche su un ragazzo che forse non esisterà mai; suo fratello sceglie invece l'alienazione pura dalla realtà . Quando però la bambina decide di attraversare da sola la cittadina che la divide dalla madre, tutti i componenti della sua famiglia sono costretti a mettersi in moto, proprio come una costellazione che segue le linee guide della stella maggiore. Presentato alla Settimana della Critica della 72° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Light Years è diretto da Esther May Campbell, già dietro la macchina da presa per dirigere alcuni episodi di Skins. Il suo, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere il racconto della perdita dell'innocenza, di quel momento oscuro in cui una bambina di otto anni capisce che i giorni dorati sono finiti, che non si può tornare indietro e ricreare un idillio ormai perduto nel tempo. Light Years dovrebbe parlare di questa presa di consapevolezza, di questa crescita improvvisa che la piccola Rose attraversa con la leggerezza di una farfalla. Peccato che tutte queste belle intenzioni, la Campbell non riesca a trasmetterle allo spettatore. La regista sembra dimenticarsi dello spettatore, impedendo a chiunque appigli nell'emotività del film. La regista si perde nella contemplazione arida del mondo, in una lenta quanto snervante messa in scena di vuota estetica, dove la bellezza della campagna inglese - a un passo da un centro suburbano industriale - finisce col diventare una presenza ingombrante e veramente fastidiosa. Tanto che, a lungo andare, lo spettatore perde interesse in quello che vede, anche e soprattutto per via di una realizzazione che, puntando solo verso l'estetico e il mero esercizio di stile, finisce col dimenticare la storia, mettendo micro-storie senza significato a rallentare un racconto già di per sé pieno di lacune.