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Ave, Cesare!

17/02/2016 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Ave, Cesare!

Ave, Cesare! è un soffio di novità da due autori che non hanno mai smesso di essere originali

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Eddie Mannix (Josh Brolin) a Hollywood è un uomo che risolve i problemi: non c'è starlette capricciosa, regista frivolo o attore in erba di cui lui non sappia occuparsi. Ma quando la star Baird Whitlock (George Clooney) scompare nel nulla, lasciando a metà le riprese di un delicato quanto costoso colossal a tema religioso, per Mannix il lavoro si fa serio.


Esiste una cosa a Hollywood che si chiama fixer. Che interviene quando le cose si mettono male. Uno che ha il controllo della situazione, che vede lucido e può sistemare una questione spinosa. Per dirla tarantinamente, “uno che risolve i problemi”. Uno come Eddie Mannix. Uno come i fratelli Coen, da più di trent'anni in grado di aggiustare il cinema. Tra i drammoni gender appena passati dalle sale, gli avventurosi colossal e il ritorno a uno stile classico, ma in qualche modo prevedibile, Ave, Cesare! è un soffio di novità. Del resto i Coen non hanno mai smesso di essere originali. Anche quando le storie sono leggere, leggerissime, quasi evanescenti. Anche quando si tratta di un compiaciuto omaggio alla Hollywood 50's.


Stavolta Joel e Ethan guardano alla loro passione, al lavoro di una vita, a un mondo che conoscono fin troppo bene: scrivono e dirigono allora un film che sembra (di nuovo) una summa dei loro temi, ma così snella e divertente che quasi non ci se ne accorge. Mettono insieme i problemi quotidiani di una Hollywood lontana, che forse sono quelli di sempre, con gli scandali da gestire, i reporter aggressivi e le tensioni artistiche da domare. Al tempo stesso tornano a parlare di Dio, nella finzione del grande colossal in costume ma non solo, riunendo attorno a un tavolo (letteralmente) le principali religioni del mondo in un dibattito decisivo, esilarante e - rispetto alla loro carriera - in qualche modo definitivo. La frase del rabbino "Dio è single e molto arrabbiato" riassume anni di (auto)riflessioni sull'ebraismo, portandosi dietro le risate convinte della sala. E così, tra argomenti enormi e sketch cinematografici, i Coen hanno la migliore idea di sempre per raccontare il comunismo clandestino negli anni Cinquanta a Hollywood: una trovata di sceneggiatura che sembra ancora più geniale a pochi mesi dall'uscita del ritratto cinematografico di Dalton Trumbo. Pur trattandosi di un ritorno alla commedia - più simile a un mix di Barton Fink e Mr. Hula Hoop che al recente lavoro su Fargo - Ave, Cesare! racconta l'inquietudine di ogni uomo che si porta dietro un segreto; l'indeterminatezza di scelte estreme e definitive, che alla fine contano poco in un oscuro disegno complessivo; le incongruenze di una Hollywood ancora adolescente e pure già così compromessa.


Ave, Cesare! è cinema, vero e finto. Anche se non somiglia neanche un po' al drammone messo in scena nella trama, è una pellicola perfetta in ogni parte e per questo un po' vintage. Forse più esile di altri titoli della filmografia dei due registi, ma di certo una delle più geniali. Un film con grandi scenografie (tornano i Capitol Pictures di Barton Fink!), una regia citazionista, ibrida e vivace, accurate scelte musicali e - ovviamente - grandi attori. Un cast reale di stelle replica le star di ieri in un risultato eccezionale. E siccome con i Coen ci si diverte sempre, il gioco è trovare chi interpreta Charlton Heston, chi è nei panni di Esther Williams, quale attore è ispirato a Gene Kelly e quale regista ripropone Vincente Minnelli. Inutile dire che alcune sequenze - il dialogo surreale sul set fra l'attore western Hobie Doyle e l'aristocratico regista Laurence Laurentz; il risveglio a Miami di Baird Whitlock; il musical dei marinai - sono prove d'attore straordinarie e, in qualche caso, come per Channing Tatum, davvero inaspettate. Come mai non tutto il cinema può essere come quello dei Coen? Vorremmo davvero che fosse così semplice.


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