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Motel Woodstock

01/10/2009 10:00

Emidio De Berardinis

Recensione Film,

Motel Woodstock

Estate 1969, White Lake, New York...

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Estate 1969, White Lake, New York. Il giovane Elliot Tiber (Demetri Martin), pittore, arredatore e presidente della Camera di Commercio di Bethel, ha una brillante idea per salvare il fatiscente motel dei genitori: organizzare un festival musicale. Saputo del ritiro dei permessi per un concerto nella vicina Wallkill, chiama l’organizzatore della Woodstock Ventures, Michael Lang (Jonathan Groff), offrendogli il motel e i duecentocinquanta ettari di prato del vicino Max Yasgur (Eugene Levy) come location per l’evento. È così che Elliot contribuirà involontariamente a dare vita al più grande happening di tutti i tempi ed entrare nella storia per “tre giorni di pace, amore e musica a White Lake”.


Tratto dall’omonima biografia di Elliot Tiber, Motel Woodstock è la trasformazione umana del giovane Elliot all’interno della più grande trasformazione culturale di tutti i tempi. Attore principale non è lo storico concerto in fieri, inquadrato soltanto nei minuti finali, ma le vibrazioni positive che riverberavano durante l’agosto del ‘69, la massa umana che, come un oceano, ha danzato e vissuto per tre giorni nel fango in armonia. Il regista Ang Lee mette in scena l’energia, la voglia di cambiare che si respirava nell’aria, quello che ha rappresentato Woodstock per chi lo ha vissuto. È il loro punto di vista che viene narrato, insieme a quello di chi ha reso possibile un tale evento. Il concerto è un pretesto, Ang Lee dà le spalle al palco, si guarda intorno e cerca tra gli hippies, tra i falò e le atmosfere pop virate dagli acidi, il senso che sorreggeva un’intera generazione, fa vivere allo spettatore l’esperienza, percepire l’eccitazione, travolgerlo. E ci riesce ricorrendo anche allo schermo diviso nelle scene più caotiche e ai lunghi piani sequenza tra le innumerevoli comparse danzanti (come il poliziotto che si fa strada tra i panel van e i pedoni in coda per il concerto). Ottimo anche il cast - tra cui il “Wild” Emile Hirsch e Liev Schreiber - e la fotografia di Eric Gautier.


Motel Woodstock è un viaggio nel tempo ben costruito, una pellicola studiata fin nei minimi dettagli, dove la naturale immersione dello spettatore occidentale risulta guidata da una regia attenta e accurata. Nonostante proprio questo suo asservimento alla narrazione possa far risentire la pellicola di uno stile personale non troppo incisivo, nel complesso il film riesce a far sognare nostalgicamente i reduci sessantottini e offrire qualche - seppur anacronistico - spunto ideologico alle nuove leve.


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