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Moon

02/12/2009 12:00

Marco Papaleo

Recensione Film,

Moon

L'esordio folgorante di Duncan Jones, figlio di David Bowie

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Della fantascienza classica, quella amata dai nostri padri, non rimangono che scampoli nella cinematografia odierna. Classici come 2001 Odissea nello spazio sono impensabili (e forse, purtroppo, inadatti) ai nostri giorni e i remake o rielaborazioni cinematografiche di testi e tematiche care a Stanislaw Lem, Isaac Asimov e Philip K. Dick lasciano, il più delle volte, il tempo che trovano. Eppure, nel 2009, un regista neanche quarantenne e al suo primo lungometraggio riesce a centrare perfettamente il suo obiettivo: portare sullo schermo una storia di science fiction con tutti i crismi dei capolavori che lui stesso ha adorato da bambino e ragazzo. Un'impresa non da poco per Duncan Jones, un passato nel mondo della pubblicità e un promettente futuro ad Hollywood dopo il successo statunitense di Moon, arrivato, dopo diversi mesi di ritardo, anche in Italia.


In un futuro non molto remoto, l'umanità ha risolto gran parte dei problemi energetici grazie all'estrazione dell'Elio-3 su apposite basi lunari. Sam Bell è un astronauta addetto al controllo della produzione, stockaggio e invio sulla Terra del prezioso gas, e vive, da quasi tre anni, nella base Sarang, sul lato oscuro della Luna. Unica sua compagnia il robot senziente Gertie, che lo aiuta in tutte le mansioni quotidiane. Appena due settimane prima della scadenza del suo contratto, Sam comincia a soffrire di allucinazioni e vari sintomi di malessere, che gli causano un grave incidente. Al suo risveglio, Sam scoprirà che nella base c'è un altro essere umano, identico a lui: chi è il misterioso intruso? Qual è la verità sulla compagnia per cui lavora, la Lunar Industries?


L'intento di ricreare le atmosfere e le tematiche di film come 2002, la seconda odissea, Alien e Solaris, può dirsi perfettamente riuscito: Moon richiama alla mente tutti i grandi film del genere di trent'anni fa e più, sia nello stile che nella forma, e aggiungendo, tra l'altro, parecchie riflessioni. Sull'uomo in quanto macchina pensante e conservatrice di ricordi, sul rapporto uomo-macchina e sull'ecologia. Tre dei temi cardine della fantascienza d'annata, oramai quasi del tutto persa in favore di scazzottate intergalattiche fra robot e alieni mutaforma. Moon quindi trionfa nel suo essere spiccatamente indipendente e refrattario alle logiche del mercato, forte anche di una interpretazione, quella di Sam Rockwell, che è davvero il caso di definire spaziale. L'attore californiano riesce a reggere sulle sue spalle la quasi totalità dei cento minuti di durata della pellicola, sdoppiandosi e ricomponendosi nei vari aspetti della personalità del Sam lunare con insolita naturalità. Molto bravi, nonostante il poco spazio interpretativo (e di doppiaggio, come nel caso di Kevin Spacey, voce al robot Gertie) anche gli altri interpreti, come la bella Dominique McElligott, e affascinante, inoltre, la colonna sonora di Clint Mansell (Requiem for a dream).


Duncan Jones si è dimostrato inoltre capace di sfruttare gli appena cinque milioni di dollari a sua disposizione, ricreando un set semplice ma efficace, dalle atmosfere cupe e claustrofobiche perfettamente in linea con l'idea di base del film, e utilizzando effetti visivi già esistenti da decenni. Anche se questo, in realtà, ha una contropartita: se è vero che il cinema di oggi è schiavo di effetti digitali e scene spettacolari, è anche vero che vedere, in massima parte, un singolo attore aggirarsi per due sole location nel corso di una intera pellicola non è particolarmente esaltante, soprattutto per il pubblico odierno. Che oltretutto è probabilmente abbastanza smaliziato per riconoscere un certo numero di incoerenze scientifiche che attraversano il film, nonché alcune piccole incertezze nella stesura della vicenda. Particolari a cui si sarebbe potuto provvedere, ma che comunque non inficiano la visione dell'opera. Moon pecca forse di eccessiva presunzione nel suo volersi prendere troppo sul serio, quando si sarebbe potuto giocare meglio sul rapporto fra Sam e il robot, anche per dare qualche piccola scossa in certi momenti del film, in cui la tensione cala naturalmente per l'intrinseca natura del progetto. Aspettiamo comunque con attenzione e fiducia le prossime opere di Jones, e intanto ci godiamo questo “ritorno al futuro” che farà certamente la gioia del pubblico più adulto.


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