Il rapporto uomo-macchina è uno dei cardini della fantascienza. L'evoluzione della robotica e dell'intelligenza artificiale, con il confronto-scontro tra uomini e macchine, è un argomento quasi abusato del genere, che tuttavia ha dato adito anche a profonde riflessioni sul futuro probabile o presumibile. Ultimamente, però, più che di macchine senzienti il cinema sci-fi si sta occupando, sempre più spesso, di macchine o simulacri umani controllati dalla volontà e dalla coscienza dell'uomo. Elemento portante, questo, di Avatar e Gamer, così come de Il mondo dei replicanti, uscito anche da noi a qualche mese di distanza dalla poco fortunata sortita americana. In un futuro molto prossimo, la robotica ha fatto enormi passi da gigante, permettendo di interfacciare a livello neurale uomini e macchine, così da creare protesi artificiali in grado di garantire una vita normale ai portatori di handicap motorio. Con l'avanzare della tecnologia, si è arrivati a realizzare interi robot controllati mentalmente e capaci di fare tutto (o quasi) quello che gli esseri umani possono fare. A circa tre lustri dalla loro invenzione, questi Surrogati sono talmente diffusi che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale li usa per lavorare, sbrigare le mansioni quotidiane, divertirsi e in sostanza vivere mentre è comodamente sdraiata in casa propria. Tom Greer (Bruce Willis) è un agente dell'F.B.I. che si ritrova fra le mani il caso scottante del primo assassinio verificatosi in molti anni; l'omicidio, inoltre, è stato perpetrato mandando in corto circuito due Surrogati e di conseguenza fondendo il cervello dei suoi controllori, cosa ritenuta impossibile prima di allora. Inseguendo una traccia che porta al gruppo anti-surrogati capeggiato dall'intrigante Profeta (Ving Rhames), Greer scoprirà l'amara verità dietro ai misteriosi assassinii... Tratto dalla graphic novel semi-omonima (The Surrogates) ideata dall'americano Robert Venditti, Il mondo dei replicanti è un film abbastanza interessante e piacevole, anche se non pienamente riuscito. Per prima cosa la durata assai breve: se da un lato evita al regista di perdere la bussola, dall'altro taglia la testa a parecchi approfondimenti che sarebbero stati invece utili e necessari. La direzione di Jonathan Mostow, regista di U-571 e del tutt'altro che mirabile Terminator 3, vaga indefinita tra il soporifero e il dinamico; il film sembra infatti in perenne ricerca di una direzione, alternando in maniera non sempre azzeccata i tempi del poliziesco d'azione con quelli della fantascienza riflessiva. Questo accade soprattutto nell'ultimo terzo del film, quando le scene d'azione perdono il freno, i nodi vengono al pettine in maniera troppo frettoloso perdendo ogni parvenza realistica (il Greer umano, nonostante quindici anni di inattività su una poltrona, risulta più indistruttibile della sua controparte robotica!). Senza contare che, rispetto alla graphic novel, la trama perde alcuni dei suoi più crudi e sconvolgenti - ma al contempo migliori - spunti, in favore di un lieto fine che convince ben poco. Non un tentativo da dimenticare, comunque, poiché non mancano le scene riuscite, la realizzazione meramente tecnica è più che buona e gli interpreti offrono discrete prove: il film vanta la migliore interpretazione di Bruce Willis da molti anni a questa parte, anche se, decisione alquanto bizzarra, sono spesso più espressive nel loro incedere robotico le controparti surrogate degli attori che le loro versioni umane, costrette per copione ad apparire slavate e scialbe, svuotate da qualsivoglia vitalità .