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Agora

31/03/2010 10:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

Agora

Recuperando una vicenda perduta tra le pagine della storia, Alejandro Amenabar dirige un’ottima Rachel Weisz in Agora, un biopic intenso, che si fa anche portat

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Recuperando una vicenda perduta tra le pagine della storia, Alejandro Amenabar dirige un’ottima Rachel Weisz in Agora, un biopic intenso, che si fa anche portatore di un importante messaggio di tolleranza.


Sul finire del IV secolo d.C. Alessandria è ancora una città fiorente, a dispetto della rovina che sta calando sull’Impero Romano. Il faro e la nuova biblioteca sono i simboli dell’opulenza e della ricchezza culturale della città, dove Ipazia (Rachel Weisz), figlia di Teone (Michael Lonsdale), coltiva il suo amore per la scienza e la filosofia, che insegna con passione ai suoi discepoli. La situazione sociale è però prossima al collasso: la diffusione del Cristianesimo e il fervore con il quale i suoi seguaci lo difendono e lo diffondono, creano contrasti con i pagani, raggiungendo il vero e proprio scontro fisico. Le conseguenze di questa impossibilità di convivenza sono drammatiche: la biblioteca, simbolo del sapere antico viene devastata dopo che l’imperatore Teodosio sancisce la salvezza dei pagani a danno dei loro diritti sul luogo. Sullo sfondo delle vicende storiche si delinea il racconto della vita della filosofa e astronoma, che ha a cuore la sua scienza e l’armonia fra i suoi discepoli, considerati uguali a prescindere dal credo che professano. Intorno alla filosofa si muovono figure ricche di passione: tanto il fiero Oreste (Oscar Isaac), suo discepolo e futuro leader, quanto lo schiavo Davo (Max Minghella), curioso e intelligente, bramano invano il suo amore e si riveleranno figure essenziali allo svilupparsi della vicenda raccontata che, in seguito al progressivo rafforzarsi del potere cristiano in città, vedrà la vita stessa di Ipazia, in quanto donna, scienziata e pagana, minacciata dell’intransigenza fondamentalista del vescovo Cirillo.


Adottata come metafora della ragione e della pacatezza sacrificate sull’altare dell’esaltazione e del fondamentalismo, Ipazia è vittima della spietatezza di chi brama il potere e può controllare l’umore delle folle appellandosi alla religione. Nel proclamare la superiorità della nuova fede sui culti pagani e facendosene portavoce, il vescovo Cirillo non accetta infatti avversari e tanto meno voci discordi, a nulla serve la strenua difesa che la donna conduce nei riguardi dell’amore e del rispetto reciproco: solo la sottomissione e la rinuncia alla sua libertà sono le vie concessegli per salvare la propria vita. Seppure in certi passaggi il racconto abbia una messa in scena simile ad una fiction televisiva, e non manchino situazioni in cui si è portati a sorridere di come l’azione si svolga, il regista ha saputo montare un dramma intenso e coinvolgente, sulla base del quale vengono inseriti temi di grande importanza e attualità. Amenabar denuncia i mali dell’estremismo e racconta con coraggio l’ennesima grande figura (tanto più grande in quanto donna in un mondo di uomini), come Socrate, caduta vittima di una società ostile al libero pensiero, una persona che, come il Cristo (in nome del quale è perseguitata), paga il dazio della sua diversità.


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